venerdì 28 giugno 2013

AFRO ELEGANTE: ARTHUR ASHE E JOSÉ VELASQUEZ

di Gianmarco Pacione












"Ricchi si diventa, eleganti si nasce"
Honoré de Balzac-Trattato della vita elegante (1830)

Lo ammetto, ancora oggi ho il pallino dei capelli afro. Non perchè sogni sparatorie tra Crips e Bloods, pantaloni a vita bassa e bandane multicolore condite da denti dorati; sia chiaro, li vorrei semplicemente per risultare elegante.
La coppa di Wimbledon alzata da Ashe

Equazione stravagante, ma facilmente spiegabile.

Definirmi immaturo durante gli anni delle superiori penso fosse e sia molto limitante. Andavo alla scoperta dei primi miti sportivi, delle apparenti storie di nicchia di Sport Week; ero fierissimo dell'omonimia con Gianmarco Frezza. Predicavo qualità di Leo Junior ai miei amici senza neppure averlo visto giocare una singola volta, simulavo falli subiti durante le partite di calcetto a scuola. Vivevo in un mondo al limite tra lo psicotico e l'inspiegabile.

In tutta questa baraonda dell'originale superfluo avevo una fissa, nata per caso.

mercoledì 26 giugno 2013

SOGNARE IL CALCIO SOCIALE: LA FAME DI FOOTBALL E LA SETE DI POLITICA

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook CLICCA QUI)

C'è qualcosa che non quadra. Ed è un bene. “Football not politics” è uno dei motti più in voga fra puristi, funzionari e affaristi del calcio: tre categorie nettamente distinte che però, almeno su questo punto, vogliono pensarla allo stesso modo. Il calcio non è politica, fuori la politica dagli stadi, niente politica a ridosso del prato verde. Ma il calcio è un gioco e molto altro di più, e allora cosa succede quando il suo popolo scende dagli spalti e si riversa nelle strade?

sabato 22 giugno 2013

RICORDI DI UN INCUBO: DOMENICO GIAMPÀ



di Gianmarco Pacione 
Domenico Giampà esultante a San Siro in maglia messinese

Ogni tanto compaiono flash, immagini che si generano improvvisamente, ricordi indelebili ma mai esplorati. Succede quando meno si è preparati, quando la mente viaggia libera tra pinte e risate. Ed è proprio così che, non più tardi di due sere fa, mi è capitato di pensare a Domenico Giampà.

sabato 15 giugno 2013

"LOCO", STANZA NUMERO 5. JUAN PABLO GARCIA.



 di Gianmarco Pacione (per la quarta puntata clicca qui)
Primo piano del "Loquito"
Abbandono un carnevale senza fine. Mi sento ubriaco di sensazioni, di gioia, d’umanità. Sono felice, felice d’essere al fianco del dottor Escobar, felice d’essere a La Paz in questo manicomio incredibile, felice di tutto ciò che mi circonda. 

Me lo sento, è proprio qui, stampato sul mio volto: è il sorriso da scemo che mi accompagna da anni ormai; quell’espressione ammaliata, involontariamente impostata. “Cosa fai? Guarda che ti entrano le mosche in bocca così!”, come dimenticarsi della più classica frase del nonno, come non ricordarsi del suo schiaffetto bonaria davanti ad ogni mio boccheggio meravigliato. Bastava poco, pochissimo: una discesa d’Eriberto e Manfredini, l’arte pagana di Riganò nel bucare la rete, l’esultanza di Mark Bresciano.

Rivivo istantaneamente un passato bellissimo, sento il divano, sento la sala colma d’amici e risate. Viaggio nel viaggio, vacanza nella vacanza.

Garcia in gol con il Tigres
Poi una poltrona, vera. È lì, sul lato del corridoio, fissa davanti a me, affiancata da un tavolino incoronato da una pianta grassa. C’è un uomo seduto. È solo, è rigido. Continua a controllare l’orologio al suo polso. Mi avvicino ancora. Ma come? Eccentrica visione: gli orologi sono tre, due sui polsi ed uno sul tavolino, a stretto contatto con la pianta.

martedì 11 giugno 2013

LA LEGGENDA DEI PEGGIORI SORRIDENTI: MAURO SHAMPOO E L'IBIS SPORT CLUB

di Gian Maria Campedelli (per seguirci sulla nostra pagina Facebook cliccate QUI)


Ciò che ci insegnano da bambini, se ci piace questo gioco, è che i più forti non vengono da qui. I più forti hanno la pelle un po' più scura della nostra, giocano scalzi col sorriso, per strada, e la loro nazionale indossa magliette gialle e verdi che, però, verranno sempre definite “verdeoro”, in omaggio ai tempi che furono. Ci insegnano che quel Paese, il Brasile, ha generato il più grande campione di sempre e che loro sono quelli che hanno vinto più campionati del mondo di tutti. Al di là di luoghi comuni e verità un po' preconfezionate, tutti quei discorsi, da piccoli, ci spingono in una sola direzione: voler diventare come loro.

"Pior Time do Mundo"
Non importa quanto tu sia brocco, non importa quanto tu sia scoordinato, scarpone, lento o ciccione, ci sarà sempre e comunque un pomeriggio al campetto, nella tua innocente infanzia, in cui proverai ad imitare Ronaldo. O Denilson. O magari Romario. O ancora Roberto Carlos, se ti piacciono le robe forti. 
Ci sono cose, però, che non ci hanno detto e che, invece, avremmo dovuto (o voluto) sapere. Non ce le hanno dette, nella maggior parte dei casi, in buonafede: semplicemente non ne sapevano nulla, i nostri educatori. Ed è un peccato, perché ci saremmo risparmiati serate intere a fare i conti con la lenta ed inesorabile consapevolezza che di brasiliano, noi, non avevamo nulla. Con la triste convinzione che al massimo potevamo aspirare ad essere degni eredi di una splendida tradizione di rocciosi difensori o, se proprio ci andava di lusso, fantasisti un po' latini e un po' europei, a metà fra Rio de Janeiro e Berlino. Se invece ci avessero raccontato la storia di Mauro Shampoo, ah, quante risate ci saremmo fatti, pensando che in fondo non eravamo così negati come volevano farci credere.

Foto di repertorio dell'Ibis durante i gloriosi anni 80.
Anni 80, Paulista, stato del Pernambuco, Brasile. Siamo lontani, e non solo geograficamente, dal calcio europeo e dai suoi irresistibili richiami: qui è tutto ancora incontaminato (o quasi), e l'oceano Atlantico fa da cornice ad una delle squadre più leggendarie di sempre: l'Ibis Sport Club. Non meravigliatevi di non averlo mai sentito nominare, ma, piuttosto, fatevi un esame di coscienza. Perché l'Ibis, a suo modo, ha scritto la Storia di questo gioco. L'ha scritta, rullo di tamburi, facendosi incoronare “peggior squadra del mondo”. Peggior-squadra-del-mondo. E non senza motivo: il Guinness non avrebbe mai concesso un tale onore senza almeno un qualche (de)merito tangibile. L'Ibis, infatti, tra il 1980 e il 1984, lungo un arco di 3 anni e 11 mesi, non è riuscita a vincere nemmeno una partita. Nessuna vittoria e, anzi, nel magnifico 1983 i rossoneri di Paulista furono in grado di collezionare 23 sconfitte su 23 gare. A guidare le sventurate imprese del “Pior Time do Mundo” (scritta ricamata ancora oggi sulle magliette da gara) c'era proprio Mauro Shampoo.

La storia di Mauro comincia come quella di tanti altri bambini brasiliani ma prosegue e finisce prendendo la via dell'eterna gloria: da bambino è costretto a guadagnarsi da vivere facendo il lustrascarpe sulla spiaggia, per pochi spiccioli, e alla sera riesce a trovare le forze per giocare a pallone. Non è tanto bravo, a dirla tutta, ma crescendo entra a far parte di una squadra: l'Ibis. Nel frattempo lascia la spiaggia e impara un nuovo mestiere: diventa parrucchiere, "cabeleireiro". Parrucchiere e calciatore,  lo strano accostamento che contribuirà a relegare il suo nome fra le icone del calcio e del folclore brasiliano. Shampoo, così, comincia la sua lunga storia d'amore con il Club di Paulista: giocherà per dieci anni, vivendo anche i tragicomici anni 80, ergendosi a capitano e bandiera della squadra peggiore del mondo. A suggellare questo idillio le statistiche parlano di un gol, uno solo, segnato in dieci anni di Ibis. Una realizzazione, in uno stadio semideserto, in una partita persa per 8 a 1. Un gol dalla sconfinata inutilità, penseremmo tutti. 

Shampoo ed il suo improbabile look.
Mauro, invece, non ci crede, e chi quel giorno era presente all'evento giura di non aver mai assistito a tanta gioia per una rete. E non importa niente se perdi e ne prendi 8 e se non c'è un gran pubblico a sostenerti. A Shampoo basta questo: averla buttata dentro. Il parrucchiere calciatore dichiara così di aver realizzato il suo più grande sogno e, conclusa la prodigiosa carriera da centravanti, torna a tempo pieno nella sua bottega. Le pareti sono ricoperte da centinaia di foto dell'Ibis e il suo negozio diventa meta di pellegrinaggio di tifosi e appassionati. Gente da tutto il mondo, malati di calcio, giornalisti, curiosi. Paulo Henrique Fontanelle e Leonardo Cunha Lima gli hanno dedicato un cortometraggio (“Mauro Shampoo, giocatore, parrucchiere e uomo”) e c'è chi, in Brasile, dice che quel gol vale quasi come il millesimo di Pelé in maglia Santos: così straordinario e unico da costituire un parallelo paradossale ma inconsuetamente solido, parallelo che affonda la sua logica esistenza nell'illogica magia romantica del “futebol”.


L'Ibis, dopo il ritiro del proprio simbolo dai capelli corvini,  proseguirà il faticoso cammino alternando sconfitte (tante, tantissime) e vittorie (poche, ovviamente), addirittura aggiornando il  libro dei record nel 1999, anno in cui la squadra riuscì a conquistare  ben 7 vittorie in campionato. Un trionfo. O forse no, perché i tifosi non sembrano troppo contenti di vedere la propria squadra snaturarsi così:  si deve perdere, perdere sempre, per mantenere la propria identità. 

Fra goliardia e leggenda, Shampoo, invece, continua a tagliare capelli. Col sorriso e la fierezza di chi sa di aver fatto qualcosa che verrà ricordato. A prescindere. Basta poco, quando si ha un pallone.  

mercoledì 5 giugno 2013

"LOCO", STANZA NUMERO 4. NARCISO HORACIO DOVAL



 di Gianmarco Pacione (clicca qui per la terza puntata)
                                        per osservare la stanza numero 5 invece clicca QUI
El loco Doval ed i colori di Flamengo e Fluminense

L’incontro con Higuita ha avuto un sapore strano, il fascino della festa rovinata, una tremenda sensazione d’incompletezza. Una luce troppo potente che, cercando ostinatamente vie di passaggio in quella folta chioma, crea molte, troppe ombre.

Carrozzieri, Maradona, Bachini, Flachi, Van Der Meyde, Caniggia, Mutu, l'ex numero uno colombiano stesso... Alcuni fenomeni, altri lottatori, tutti dipendenti. Strano mondo quello del pallone, a volte troppo coinvolgente, logorante per personalità ben distanti dall’essere forti ed incorruttibili. Ragazzi che in un attimo, in pochi scatti e gol, si ritrovano sulla cima del mondo. Una vetta troppo alta per non essere imbiancata.

Avanzo nel corridoio pensando a questo lato oscuro del fùtbol, lasciandomi avvinghiare da un ineluttabile senso di tristezza. Una televisione, la stessa che ascoltavo poco fa, mi attira a sé, quasi prendendomi per l’orecchio e trascinandomi. Si distinguono chiaramente delle voci, ma il mio furto di parole viene placato immediatamente.

L'ammaliante sorriso di Narciso Doval
Davanti a me scorgo una minuscola cappella incavata in un angolo. Ha tutta l’aria d’essere una chiesa, al suo interno pare si stia svolgendo una funzione. Interrogo Escobar con il mio classico, quanto banale, sguardo incompetente. Lui sorride: “Italiano, non tutta la follia è negativa, certi uomini illuminano irrimediabilmente l’animo di chi li osserva, di chi li esalta, di chi li tifa. Questa è una cappella in onore di Narciso Horacio Doval. Avanti, entra, oggi è il giorno della sua commemorazione. Buono spettacolo.”.