sabato 24 agosto 2013

ARRIVEDERCI ESTATE, NON CI MANCHERAI...

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook CLICCA QUI)



E' arrivato il giorno. Quello che per tre mesi attendi maledendo quotidiani sportivi e amichevoli estive giocate camminando in alta quota. Il giorno di cui si parla e fantastica camminando su litorali affollati, con gli occhi che brillano d'eccitazione perché ogni minuto che passa è un minuto in meno al traguardo. Il giorno dei grandi ritorni, il giorno attorno al quale ruotano umori, emozioni, gioie e delusioni; il battesimo di un altro anno all'inseguimento del brivido giusto, del momento supremo. Alla caccia di una vittoria, di una salvezza, di una degna sopravvivenza o, impresa più ardua di tutte, di un'identità.

La nuove Serie A 2013-2014 (foto: Sportlive.it)

E' arrivato il giorno in cui il bambino diventa grande e il grande ritorna bambino, dove si rovesciano gli equilibri di un mondo complicato e un po' bastardo. Il giorno in cui si rompono gli indugi, il giorno in cui finalmente ci si deve schierare, da una parte o dall'altra, in mezzo mai. Quelli in mezzo non partecipano alla festa, nemmeno vengono invitati.

E' il giorno in cui l'avvocato ritorna a battere le mani a fianco dell'operaio, il giorno in cui il figlio dell'industriale ricomincia a perdere la voce con il figlio del cassintegrato: è il giorno in cui tornano a farsi vivi gli incubi dei questori, il giorno in cui gli infami festeggiano perché avranno di nuovo qualcosa su cui scrivere o qualcuno contro cui puntare il dito.

E' anche il giorno in cui qualcuno ricomincia a correre e qualcuno torna a caricare, il giorno in cui nascono maledizioni da graziose labbra femminili, il giorno in cui le coppie figlie del solleone saltano in aria, il giorno in cui le mamme iniziano di nuovo a raccomandarsi con occhi amorosi ma stanchi.

E' arrivato il giorno delle lacrime rabbiose, delle bestemmie imboccando la via del ritorno, della birra calda e un po' sgasata, dei Borghetti lanciati aspettando il rumore di plastica sul cemento, di torce e sbirri e tensioni e boati ad un gol o per un rigore parato.

E' arrivato infine, facendosi attendere come l'ospite più gradito e desiderato, provocato e coccolato, accompagnato dagli ultimi caldi e vestito dei colori di un'estate che, per noi, dura sempre troppo tempo.

E' giunto sino a noi preceduto dalla numerosa fanfara di tamburi immaginari e cori masticati per scaricare l'adrenalina. Perché fino ad ora le gradinate son rimaste vuote ma si canta sempre, anche davanti ad uno specchio o in coda in autostrada. Così. Perché innamorati lo si è sempre, anzi, nei momenti di noia e difficoltà ancora di più, fino allo sfinimento. Il bello viene adesso: basta gitarelle serene in oasi silenziose, basta domeniche composte al fresco di un ombrellone, basta calciomercato, basta maledette vacanze.


Si torna a soffrire. Finalmente.   

venerdì 16 agosto 2013

Figli del mare, figli di Tuvalu: PENISULA e SEKIFU


 di Gianmarco Pacione (per seguirci su Facebook clicca qui)
Funafuti: l'atollo più grande di Tuvalu. In basso a sinistra l'unico campo da calcio della nazione.

Puntuale, rituale. Tokotasi sta gesticolando scenograficamente, sommerso da barba e occhi puerili. Ha abbandonato “Tofaga”, la sua stanca barca, da una trentina di passi sabbiosi, solo per accorrere a quella predica, la sua predica, ormai conosciuta da ogni singolo abitante dell’arcipelago di Tuvalu.

Partita dopo partita, pesce dopo pesce, bambino dopo bambino, la leggenda non muta, esce dalle sue labbra come un soffio dalle conchiglie, accompagnata da note ondose, dalle turbolenti  maglie azzurre della nazionale che si riscaldano a poche file legnose di distanza.

La zona centrale della gradinata
“Un tempo, quando gli abitanti dei nove atolli potevano sfiorarsi da una spiaggia all’altra, vi fu un ragazzo, Malakai. Coltivava delle piante di cocco poco lontano da qui. Una mattina Malakai trovò delle piante completamente tagliate, derubate dei loro frutti. Poche settimane dopo il furto si ripeté. Accadde poi una terza volta. Allora Malakai pensò per ore guardando le sue piante e si accorse come il ladro lo colpisse solo nelle notti di luna piena. Così il giovane attese sveglio e nascosto per notti e notti, fino a quando non giunse il colmo chiarore successivo. Iniziò a sentire voci di uomini e donne, poi il fruscio dei rami colpiti. Allora sparò, facendo fuggire i ladri, rincorrendoli nella spiaggia. Riuscì a raggiungere una giovane ragazza, la strinse a sé, ma proprio in quell’istante gli altri si tuffarono in mare, trasformandosi in delfini. Malakai portò la donna al villaggio e la sposò, donandole due figli. Poi, una sera, la giovane disse addio ai due figli ed al marito, si gettò in acqua e tornò ad essere un delfino. I suoi due figli diventarono i due pescatori ed i due calciatori migliori della nazione. Eccoli lì – urla Tokotasi, indicante tra la folla meravigliata – Penisula e Sekifu, gli eroi di Tuvalu.”.

Scricchiola la gradinata, piccolo centro d’una storia che mai è stata e mai sarà scritta. Non è gremita. I pochi presenti si allontanano da Tokotasi con il calcio d’inizio in vista; hanno l’aria di giovani confessati in attesa della comunione.

Uno scorcio di Tuvalu-Tahiti
L’anziano cantastorie osserva compiaciuto, arriccia la barba. Le nuvole hanno sostituito le sue parole, ora sono loro a danzare sulle instancabili note ondose. Lo fanno insieme alle undici maglie azzurre impegnate contro la Nuova Caledonia.

Il fischio d’inizio. Tokotasi è consapevole, per un lunghissimo istante, d’essere inconsapevole.

Inconsapevole d’appartenere alla seconda nazione meno popolata della Terra, con solo 9929 abitanti. Inconsapevole d’essere in uno stadio dalle dimensioni irrisorie: il Tuvalu Sports Ground, capace d’ospitare 1500 spettatori in un unico settore dal sapore esotico.

Contorno di piante, erba, mare, di gustose pennellate di Gauguin; non potrebbe essere differente per l’unico campo di calcio regolare presente in questo Stato. Unico. Troppo fini le lingue di terra dei nove atolli, troppo forte la stretta dell’oceano Pacifico per ospitare più d’un conforme prato verde.

La partita è bloccata, o meglio, la partita è inguardabile. Una sorta di sfida alle massime vette dell’orrendo, talmente inesplorate dal risultare, per certi inspiegabili versi, affascinanti. Palloni che viaggiano morbidi come pietre in un flipper. Palloni che si perdono oltre la collina, tra la sabbia dorata. Palloni stuprati, maltrattati.

Maukobe Penisula
Tokotasi sfrega le mani in una tasca, le unisce coprendo un amuleto. È in legno, come quasi tutto qui. È  intagliato a forma di delfino.

La chiusura difensiva di Penisula, signorile, fuori luogo. Il suo coast-to-coast senza il minimo controllo, la palla dentro per l’inserimento di Sekifu dalla mediana, a bucare i centrali Caledoniani.

“Guarda i tuoi figli!”, Tokotasi alza l’amuleto. La rete si gonfia, pare segua il movimento degli alberi di cocco mossi dal vento.

La gioia. Tokotasi come Bruce nella Kop, come Marco della Fiesole, come Paul nella muraglia gialla.

Le urla. Trasportate dal vento in ogni casa, in ogni isola dell’arcipelago, in ogni barca di questi 26 chilometri quadrati.

Il cuore che si riempie della signora Kalea, intenta a pulire il pesce. Ora sa che suo nipote sta vincendo. Le espressioni interrogative di turisti avventurosi, fermi davanti ad un aereo giapponese abbattuto durante la seconda guerra mondiale, maggior attrazione dell'entroterra di questo paradiso sperduto tra Hawaii e Australia. Il volto di Uota che si gira alla ricerca dello Sports Ground. Sta cavalcando l’azzurra “Tofaga” del padre, confondendosi con tutto ciò che lo guarda dall’alto e dal basso. Kolone ed Etimone che continuano a rincorrersi, non curanti del boato, ai margini della pista dell’aereoporto di Vaiaku, villaggio più importante di Tuvalu. Lo sanno i due bambini, oggi non arriveranno aerei, arrivano solo tre giorni a settimana quei mostri del cielo qui.

Viliamu Sekifu
Si abbracciano i due fratelli del mare, lo fanno a lungo vicino alla bandierina. Penisula è stato il primo a lasciare il suo Paese cercando fortuna, come calciatore professionista, nelle Fiji. Per adesso è ancora il solo ad averla trovata.

Sekifu ha tagliato un altro traguardo storico, gonfiando la rete contro Tahiti nel 2007. Facendolo per la prima volta, nella sua patria, in una partita valida come qualificazione al Mondiale.

Il fischio arriva, di nuovo. Questa volta bussa tre volte alle orecchie tuvaluane. 1-0 alla Nuova Caledonia. Sekifu e Penisula si abbracciano, si stringono forte l’un l’altro, di nuovo. Tokotasi si asciuga le lacrime con le mani ancora chiuse, a protezione del suo sacro amuleto. I due figli di Malakai lì, davanti a lui. Ancora un brivido, un istante, questa volta di cruda consapevolezza. Le orecchie ora ascoltano un frastuono, non è più un melodico accompagnamento. Sta avanzando l’oceano, come sempre, inarrestabile.

“Dicono che manchi poco, saremo sommersi tutti. D’altronde viviamo in terre che si alzano, al massimo, poco più di quattro metri sopra il livello del mare. Cambiamento climatico, surriscaldamento. Non capisco, l’oceano un tempo ci abbracciava, sembrava uguale a Sekifu e Penisula. Ora ci sta stritolando. Ci mancano il respiro, il futuro”.

Tokotasi osserva il mare a destra, a sinistra, ovunque l’orizzonte è azzurro. Come Malakai capisce chi è il ladro, capisce chi, ogni giorno, gli sottrae un lembo di terra, un lembo d’anima.

Tre delfini nelle acque Tuvaluane
Il vecchio pescatore alza improvvisamente il suo tesoro, lo tiene saldo, radicato nelle sue braccia nodose ma fiere. Che lo stritoli pure l’oceano, che sommerga la sua casa, che distrugga la sua “Tofaga”, che inondi il Tuvalu Sports Ground. Che gli neghi pure la patria, l’identità.

Sekifu e Penisula si voltano verso la gradinata, uno sotto il braccio dell’altro. Incrociano volutamente lo sguardo con Tokotasi, poi lo spostano, religiosi, verso l’intagliato legno mistico. Cinque, dieci, trenta secondi. Gli occhi di due figli che omaggiano la propria genitrice. Poi eccoli tornare a Tokotasi. Un cenno, un gesto con il capo quasi impercettibile. Avanti e indietro. Innegabile affermazione.

L’asceta narratore di leggende nuoterà con loro. Lo farà la prossima notte di luna piena, lo farà per sempre, anche con la sua amata Tuvalu completamente soffocata dall’oceano. Cavalcherà le onde sul dorso di Sekifu e Penisula, stringendo forte tra le mani la loro madre, proprio come fece il giovane Malakai quando ancora gli abitanti degli atolli potevano sfiorarsi da una spiaggia all’altra.    
La gradinata del campo di Funafuti

domenica 4 agosto 2013

"LOCO", STANZA NUMERO 6. BONVALLET Y LOCÒ

di Gianmarco Pacione (per la puntata precedente clicca qui)


 

 Lo schermo a mezz’altezza emana il tipico calore sudamericano. Fiumi di parole che si susseguono in una fila indiana scomposta, dal passo insostenibile. Pensieri, offese, è così difficile capire. Ma cos’ho imparato quei tre anni alle medie? Rifletto un istante. Ricordo solo sanissime risate scomposte.

Il corridoio mi spinge deciso verso lo scheletro d’una sala ricreativa. Nuda, spoglia. Quattro sedie fremono sole, cigolanti e insicure. Scelgo di restare in piedi, di fianco al tavolo da ping-pong.

Dottore ma queste racchette? Non le cambiate dal ’52 mi sa!”. Sullo sfondo una forbice si muove freneticamente di fronte ad uno specchio. Mi volto ma ecco tornare la cascata di parole che mi aveva accompagnato fino a poco prima.

¡Avíspate re-huevón!”. Come? Ho sentito bene?

¡Desconchetumadrízate!”. L’impatto è violento. Sembrano parole rivolte a me e di certo non si tratta di complimenti.

¡Feo, mamón y no sabís nada!”. In sovrimpressione un nome e un cognome che avevo già notato: Eduardo Bonvallet. Poco più in alto una camicia di pixel di dubbissima definizione. Un comico. Gesti ampi, braccia che vanno avanti e indietro. Una cravatta abbandonata a se stessa. Poi un indice, puntato verso la telecamera, verso di me. Verso di me?
Bonvallet durante il focus tattico sulla nazionale cilena

¡Ahuevonado al máximo! Si, dico a te italiano.”. Sbatto le palpebre e inarco le sopracciglia.

Ehm, dottor Escobar? Dottor Escobar? -deglutisco- Ma, è possibile che l’uomo nella televisione stia parlando con me?”.