"Ragazzi avete vinto! Sarete voi a rappresentare la nostra università in Russia!"
"Pazzesco! E dove dobbiamo andare di bello?"
Nel mentre il pensiero volava già verso la grande Piazza Rossa di Mosca ed i maestosi edifici di San Pietroburgo.
"Niente Mosca, né San Pietroburgo, andrete a Yekaterinburg!"
Yekaterinburg? Subito scatta la ricerca su internet di questo nome tanto sconosciuto quanto misterioso ed attraente. Naturalmente la seconda voce nella mia marcia di avvicinamento è una sola: esiste il calcio a Yekaterinburg? Le ricerche si fanno sempre più elaborate e, alla fine, giungo sospirando ad un nome: FC URAL.
L'arrivo nel territorio degli Urali porta prima di tutto alla luce certe domande che esulano dal campo: come si può vivere qui? Come fa la gente ad andare avanti in queste condizioni? Fidatevi, se doveste mai passare da queste parti sarebbero le prime domande che vi porreste.
Lorenzo con la sciarpa dell'Ural |
"L'attesa del piacere è essa stessa il piacere" diceva Gotthold Ephraim Lessing. Mai frase fu più esplicativa delle emozioni provate fino al calcio d'inizio.
Lunedì, ore 17. Spostandoci verso lo stadio io e Sasha, il mio amico russo e traduttore di fiducia, notiamo come l'ambiente cambi radicalmente rispetto al centro città. La gente sembra aver quasi repulsione verso noi stranieri, ci squadrano, ci studiano, ma nessuno si azzarda a scambiare una parola. Arriviamo all'impianto accompagnati da un corteo di polizia armata ed in fibrillazione, col manganello saldo e pronta ad intervenire per sedare ogni minima tensione.
In questo clima di paura si apre davanti a noi il muro arancione.
Ci avviciniamo allo stadio con fare discreto ed incredibilmente noto una cosa che in Italia non sarebbe mai possibile vedere: i giocatori escono dal campo e si dirigono verso gli spogliatoi attraversando la strada in mezzo ai tifosi. Un altro elemento che attira la mia attenzione è la modestia dell'impianto e, incuriosito, avvicino un ragazzo allo store ufficiale:"Ma è questo lo stadio ufficiale dell'Ural?" Lui, quasi stizzito, inizialmente lascia trasparire un certo disgusto per la domanda appena fatta, rispondemi con un secco "niet" (no); poi, grazie a Sasha, mi faccio raccontare il perché di questa risposta e scopro che purtroppo per questa stagione e, probabilmente, anche per la prossima, l'Ural sarà obbligato a giocare in questo modesto campo, dato che il vecchio UralMash Stadium è in fase di ristrutturazione per il mondiale 2018.
I giocatori attraversano la strada per riscaldarsi |
L'argomento sembra stare parecchio a cuore al mio nuovo interlocutore locale, così prendo coraggio ed inizio a chiedergli maggiori dettagli riguardo la storia dell'Ural e del sul tifo. Anche in questo caso la risposta tarda ad arrivare, ma grazie al mio traduttore riesco a capire che l'Ural e, in generale, il calcio in Russia ricoprono un ruolo secondario. Lo sport che la fa da padrone qui è uno solo: manco a dirlo l'hockey su ghiaccio.
Purtroppo Dimitri ci deve lasciare, la partita sta per iniziare e tra una birra e uno snack caratteristico, dal nome e contenuto sconosciuto, prendiamo posto in tribuna. La contesa in sé non regala grandi emozioni: due squadre di metà classifica, a poche giornate dalla fine del campionato e senza obiettivi, portano ad un'inevitabile stagnazione del gioco sulla linea mediana del campo.
Uno scorcio della zona calda |
Nel secondo tempo la musica non cambia: partita noiosa (con il solo autogol dell'Ural ad animare, negativamente, la folla) e sugli spalti si continua a cantare e "ballare". La tromba, incessante punto di riferimento, detta il ritmo come in una corrida ghiacciata e lo stadio si appoggia su di essa per gridare il proprio amore. Le bandiere arancio-nere sventolano all'unisono anche contro il freddo e le intemperie, la fede guida i tifosi in una simbiosi quasi assoluta con la propria maglia. A fine partita il tabellone recita Ural 0 - Rubin 1, ma questo in fondo poco importa.
Uscendo dallo stadio incontro nuovamente Dimitri. Questa volta il suo approccio sembra più gentile, amichevole e ci invita a prendere una birra con i suoi amici. Purtroppo, a causa di impegni ufficiali con l'università siamo costretti a rifiutare, ma prima di tornare nel viale polveroso e desolato mi fermo un attimo e gli porgo un'ultima domanda: "Dimitri, ma perché avete una chiesa accanto allo stadio?". La sua risposta mi prende in contropiede: "Vedi, la fede per l'Ural e per il calcio in generale è come la fede in Dio, tante cose rischiano di farti allontanare da lei, ma essa è talmente forte che prima o poi tutti tornano da lei. La chiesa è qui per questo, un monito per ricordarci a chi destinare il nostro amore".
La chiesa abbracciata allo stadio |
È ora di andare e tutto sembra tornare coperto da quella coltre di fumo e grigiore che aleggia in ogni angolo della città. La polizia si apre come il Mar Rosso e noi, in un silenzio quasi surreale, rientriamo verso la metropolitana.
La festa è finita, andate in pace, ma quella tromba e quei tamburi continueranno a dettare il battito del cuore che rappresenta tutta la regione degli Urali. Forza Ural o mio Ural!