di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)
"Il genio abita semplicemente al piano di sopra della follia".
Arthur Schopenahuer, Parerga e paralipomena, 1851.
La parola "genio", tirata in ballo scomodando uno dei sacri pilastri della filosofia europea, ben si adatta all'incipit di questo breve racconto. Concedetemi il beneficio di abusarne senza prudenza: d'altronde, in tempi avari di storie romantiche e travolgenti da raccontare, un uomo che vive di passioni deve pur aggrapparsi a qualcosa per continuare a sognare. Certo, si rischia di passare per nostalgici, nichilisti e via dicendo, ma non è colpa mia se questo mondo d'erba e cuoio è invecchiato così male. Rimpiango un'età dell'oro consumata e trapassata, ma lo faccio per me stesso, conscio che niente tornerà più come prima. E' come masturbarsi riportando alla memoria i tempi migliori: a tutti è concesso d'essere nostalgici, abbiamo il sacrosanto diritto di sentirci estranei al presente.
Concedetemi il beneficio, dicevo, di usare con naturalezza e cognizione la parola "genio" e di accostarla ai parametri inafferrabili della follia, perché per parlare di David Ginola non ha senso andare alla ricerca di altre dimensioni, sta tutto lì.
Se Joyce rese celebre il flusso di coscienza in letteratura rovesciando l'idea di "senso", il bel poeta maledetto di Gassin fece proprie l'ispirazione e l'anarchia figlia sua e fu grazie ad esse se diventò poi Ginola.
Egli fu tutto e non fu niente. Per i soloni del calcio, soltanto un fumoso francese in cerca di guai, per chi ha goduto delle sue gesta e dei suoi eccessi, semplicemente un finissimo esteta al di sopra d'ogni regola e convenzione. Adone dissacrante, un animale attratto continuamente dall'irrazionalità, guidato dal fiuto e dal talento come pochi altri prima e dopo di lui, guidato poi fin giù nel burrone che gli costò una carriera che avrebbe potuto esser colma di trofei e gloria.
Già perché l'incantevole dipinto del bellissimo David al centro ha uno squarcio che in eterno rimarrà lì, irrimediabilmente incancellabile. Lo sanno bene i francesi cui Ginola strappò la qualificazione a Usa '94, quando negli ultimi istanti dell'ultima partita decisiva per strappare il biglietto per gli States contro la Bulgaria, Ginola rimase fedele alla sua linea, quella del calcio improvvisato e bello senza per forza essere utile, e anziché difendere un possesso su una palla ferma vicino alla bandierina del calcio d'angolo, decise di crossare in mezzo alla ricerca di qualche compagno pronto a cogliere il suo invito.
Da quel cross sbagliato nella forma e nella sostanza nasce una storia lunga una vita intera, perché gli avversari riconquistano palla e Kostadinov, al termine di una veloce azione thriller, segna il gol che giustizia i galletti e manda oltreoceano i bulgari. Da quel momento, Ginola viene ricoperto di ogni tipo d'accusa dai francesi e da Houllier, allenatore dei transalpini che mai gli perdonerà d'aver tradito la Francia: verrà apostrofato dallo stesso con epiteti d'ogni genere e la faccenda fra i due finirà persino nelle aule dei tribunali. La Francia, cinque anni dopo, vincerà il campionato del mondo in casa propria, senza il bel David che mai riuscirà a mettersi l'anima in pace per aver vinto quella coppa soltanto dal divano di casa.
Con tutta la Francia contro, Ginola prende e decide di diventare profeta altrove: dalle carnose labbra delle lolite Parigi, alle pallide e formose cosce delle ginger di Newcastle, da parco giochi a parco giochi, da quello dei Principi a quello di Saint James, David decise che sarebbe stata l'Inghilterra il luogo adatto a cui dedicare i suoi versi migliori. Generoso, durante gli anni Novanta, il destino che concesse agli appassionati di football dal nord fino a Portsmouth di ammirare le meravigliose gesta di due fuggiaschi francesi accorsi al servizio di Sua Maestà. . La French Connection di cui è impossibile non sentire la mancanza.
Stare a qui a discutere su chi fosse più in alto, fra Cantona e Ginola, è inutile. Molti, anzi quasi tutti, risponderebbero che fu il primo il più grande di tutti. E forse è vero. Ma non è questo il punto. Nel film "Dead Poets Society" ("L'attimo fuggente"), il professor Keating fa strappare ai propri studenti le pagine del libro "Comprendere la Poesia" di J. E. Prichard, sostenendo che poter pensare di imbrigliare i versi di un poeta fra la rigidità di due assi cartesiani sia sciocco, inutile, stupido. Vale lo stesso per quei due: in fondo, ciò che conta dentro e fuori il prato verde è soltanto il numero di emozioni che qualcuno riesce a crearti dentro.
Così ogni appassionato, ogni romantico follemente perso per il pallone dovrebbe esser grato a David Il Bello, perché in lui c'era un po' tutto quel che avremmo voluto diventare noi, c'era tutto quello che un uomo può invidiare con rispetto ad un altro uomo: lo sconfinato talento, l'indole del fanciullo scanzonato che volteggia lontano dalla mestizia del mondo reale, il fascino travolgente che gli rese trofei formosi e libertini ad ogni longitudine, l'estro anarchico, il tormento della sconfitta e dei "se" che fino all'infinito si ripeteranno senza tregua.
Per ogni carezza ad un pallone, per ogni amplesso in clandestinità, viva il calcio e viva Ginola.
Già perché l'incantevole dipinto del bellissimo David al centro ha uno squarcio che in eterno rimarrà lì, irrimediabilmente incancellabile. Lo sanno bene i francesi cui Ginola strappò la qualificazione a Usa '94, quando negli ultimi istanti dell'ultima partita decisiva per strappare il biglietto per gli States contro la Bulgaria, Ginola rimase fedele alla sua linea, quella del calcio improvvisato e bello senza per forza essere utile, e anziché difendere un possesso su una palla ferma vicino alla bandierina del calcio d'angolo, decise di crossare in mezzo alla ricerca di qualche compagno pronto a cogliere il suo invito.
Da quel cross sbagliato nella forma e nella sostanza nasce una storia lunga una vita intera, perché gli avversari riconquistano palla e Kostadinov, al termine di una veloce azione thriller, segna il gol che giustizia i galletti e manda oltreoceano i bulgari. Da quel momento, Ginola viene ricoperto di ogni tipo d'accusa dai francesi e da Houllier, allenatore dei transalpini che mai gli perdonerà d'aver tradito la Francia: verrà apostrofato dallo stesso con epiteti d'ogni genere e la faccenda fra i due finirà persino nelle aule dei tribunali. La Francia, cinque anni dopo, vincerà il campionato del mondo in casa propria, senza il bel David che mai riuscirà a mettersi l'anima in pace per aver vinto quella coppa soltanto dal divano di casa.
Con tutta la Francia contro, Ginola prende e decide di diventare profeta altrove: dalle carnose labbra delle lolite Parigi, alle pallide e formose cosce delle ginger di Newcastle, da parco giochi a parco giochi, da quello dei Principi a quello di Saint James, David decise che sarebbe stata l'Inghilterra il luogo adatto a cui dedicare i suoi versi migliori. Generoso, durante gli anni Novanta, il destino che concesse agli appassionati di football dal nord fino a Portsmouth di ammirare le meravigliose gesta di due fuggiaschi francesi accorsi al servizio di Sua Maestà. . La French Connection di cui è impossibile non sentire la mancanza.
Stare a qui a discutere su chi fosse più in alto, fra Cantona e Ginola, è inutile. Molti, anzi quasi tutti, risponderebbero che fu il primo il più grande di tutti. E forse è vero. Ma non è questo il punto. Nel film "Dead Poets Society" ("L'attimo fuggente"), il professor Keating fa strappare ai propri studenti le pagine del libro "Comprendere la Poesia" di J. E. Prichard, sostenendo che poter pensare di imbrigliare i versi di un poeta fra la rigidità di due assi cartesiani sia sciocco, inutile, stupido. Vale lo stesso per quei due: in fondo, ciò che conta dentro e fuori il prato verde è soltanto il numero di emozioni che qualcuno riesce a crearti dentro.
Così ogni appassionato, ogni romantico follemente perso per il pallone dovrebbe esser grato a David Il Bello, perché in lui c'era un po' tutto quel che avremmo voluto diventare noi, c'era tutto quello che un uomo può invidiare con rispetto ad un altro uomo: lo sconfinato talento, l'indole del fanciullo scanzonato che volteggia lontano dalla mestizia del mondo reale, il fascino travolgente che gli rese trofei formosi e libertini ad ogni longitudine, l'estro anarchico, il tormento della sconfitta e dei "se" che fino all'infinito si ripeteranno senza tregua.
Per ogni carezza ad un pallone, per ogni amplesso in clandestinità, viva il calcio e viva Ginola.
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