di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook, clicca QUI)
Gordon, con quel viso pensoso, accigliato, lo
sguardo profondo ed indecifrabile, i lineamenti poco britannici e
molto sudamericani. Il più grande, l'unico, il nostalgico faro che
getta ombre su tutti gli sfortunati successori che la storia ha
giustiziato lungo i lustri, fino ad oggi. Atipico fisicamente e non
solo. Perché i maestri inglesi hanno sempre avuto una non indifferente
mancanza, un vuoto decisivo: il portiere. Il guardiano della rete,
colui che, e la metafora in questo caso si presta alla
perfezione, ha il compito di difendere i confini, l'ultimo presidio:
nessuno prima, nessuno dopo Gordon Banks, il simbolo di un'epoca, di
una speranza e, soprattutto, di un trionfo, quello del Mondiale del
1966. Eppure non esiste solo il Banks come parte essenziale di un
tutto: esiste il Banks solitario, il protagonista di uno dei duelli
individuali più appassionanti e fugaci della Storia. Inutile, a
posteriori, ai fini di albi d'oro e trionfi ma imprescindibile,
ancora oggi, se si vuol gustare a fondo l'essenza magnetica di questo gioco
divino.
Banks in volo in allenamento (fonte: dailymail.co.uk) |
Guadalajara, 1970. Il sole brucia il
prato verde dello stadio, è ora di pranzo, i Tre Leoni inglesi
sfidano il Brasile. E' il meglio che il calcio mondiale possa
offrire: i campioni del mondo in carica contro i favoriti, gli eterni
favoriti, gli inarrivabili artisti del futebol, capitanati da Pelé e
dalla sua lunga schiera di fenomenali destrieri. Niente di meglio. La
partita la vinceranno proprio loro, i verdeoro, grazie a un gol, un
bellissimo gol, di Jairzinho. Uno a zero, entrambe le squadre
supereranno il girone, ma l'Inghilterra verrà comunque eliminata ai
quarti. Il Brasile, invece... beh, sappiamo tutti com'è andata a finire. Ma ancora una volta il risultato, a noi cultori del superfluo essenziale, non interessa.
Anzi, di quella memorabile e storica
partita, paradossalmente, contano solo pochi secondi. Forse ancora
meno. Contano pochi centesimi di secondo. Il Brasile è superiore, in
tutto e per tutto, aiutato (o quantomeno non danneggiato) anche dal
rovente caldo che poco si sposa con le attitudini degli avversari, ma
non solo. I Carioca sono semplicemente una gioiosa e temibile armata
senza pietà. Ma nonostante tutto, nonostante tabellini, statistiche
e numeri, quel pomeriggio a Guadalajara il protagonista non è nero e
non indossa i colori dei favoriti. Non indossa nemmeno l'elegante
completino bianco inglese, ma anzi una maglia blu. Si chiama Gordon
Banks, di ruolo fa il portiere, il ruolo dell'unicità per eccellenza, e quel pomeriggio a Guadalajara ha
inciso il suo nome nella storia, per sempre, autore “della più
grande parata del secolo”, trionfatore incredulo del duello col più
grande, O Rei Pelè.
Jairzinho è lanciato sulla corsia di
destra, salta Cooper con disinvoltura, ma la palla sembra scorrere
fuori, in fallo di fondo. Il numero 7 però ha un sussulto, riesce in
un decisivo allungo prima che la sfera termini fuori: crossa al
centro, ad occhi chiusi forse, a memoria, con la certezza che là dentro, “in the box”, ci sia pronto qualcuno dei suoi.
D'altronde, loro, erano i migliori, e ai migliori riesce sempre
tutto, a occhi aperti o chiusi poco importa. Il pallone s'impenna e sembra voler scendere proprio sulla
testa di Pelè: il balzo della Perla Nera è da schiacciatore di
pallacanestro. Sovrasta il difensore con esplosiva prepotenza,
schiaccia il pallone di testa. Lo schiaccia forte, con la rabbia e la
fame insaziabile di chi non vuole e non può aver pietà. Banks deve
attraversare tutta la porta, dal primo palo difeso in occasione del
cross di Jarizinho, fino all'altra estremità, dove è indirizzato il
colpo di testa del numero 10 verdeoro. Il pallone, schiacciato a
terra, prende ancora più forza e scappa veloce ed apparentemente
inesorabile verso la rete, appena sotto la traversa. Sembra. Perchè
Gordon compie un gesto che racchiude tutto: istinto, follia,
atletismo, agilità, romanticismo, poesia, dramma. Tutto quanto, in
qualche centesimo di secondo, a Guadalajara, sotto un cielo bruciato.
Si inarca, come un'onda, e con il viso rivolto verso la linea di
porta e le gambe verso l'interno del campo riesce a sopraffare il
destino. Gli dice no. Dice no a lui e a Pelè, dice che non ci sta.
Non crolla, gli costasse anche l'osso del collo, Banks, l'uomo con i
lineamenti da indio è un inglese ruvido, uno pronto a tutto per i Tre
Leoni. E lo dimostra, improvvisandosi tuffatore olimpionico, salvando
il pallone a pochi centimetri dalla riga, a pochi centimetri
dall'ennesima prodezza del solito mostro brasiliano. La palla,
toccata dai guanti bianchi di Gordon, si impenna, perde velocità, e per un
attimo i brasiliani, sicuri che sarebbe entrata, si
saranno sentiti sollevati nel vederla ballare a ridosso della riga. “Deve
entrare, entrerà, entrerà”. E invece no, lesa maestà. Il pallone
si alza e sorvola la traversa, uscendo in calcio d'angolo.
Un fotogramma della "parata del secolo" (fonte: guardian.co.uk) |
Banks si alza, incassa il timido
complimento di un suo compagno, e torna a prendere posto sulla riga
di porto, lo sguardo basso. La solita camminata un po' ciondolante,
la schiena piegata, i capelli che gli cadono sulla fronte abbronzata.
Sembra non rendersi conto di ciò che ha appena compiuto. I volti attoniti e sconvolti dei presenti e dei milioni di appassionati di fronte alle televisioni di tutto il mondo. Pelé e i
suoi compagni, abituati alle loro prodezze, iniziano a provare un
feroce odio, tramutato presto in ammirazione, in un silenzioso
inchino di fronte alla giocata più bella e inattesa che quel giorno
il mondo potesse desiderare di ammirare.
Sta tutto lì dentro per gli inglesi, eterni orfani di guardiani affidabili, muri inscalfibili, estremi
salvatori del Regno. Sta tutto lì, ciò che fu e ciò che venne
dopo, prima o poi vi si ritorna sempre. Sta tutto dentro a Guadalajara, a Pelè, a
Gordon Banks e al suo balzo. Con il cuore inondato di nostalgia
e l'orgoglio vivo di una Storia perdente ma da non rinnegare. Mai.
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