Lo schermo a mezz’altezza emana il tipico calore
sudamericano. Fiumi di parole che si susseguono in una fila indiana scomposta,
dal passo insostenibile. Pensieri, offese, è così difficile capire. Ma cos’ho
imparato quei tre anni alle medie? Rifletto un istante. Ricordo solo sanissime risate
scomposte.
Il corridoio mi spinge deciso verso lo scheletro d’una sala
ricreativa. Nuda, spoglia. Quattro sedie fremono sole, cigolanti e insicure. Scelgo
di restare in piedi, di fianco al tavolo da ping-pong.
“Dottore ma queste racchette? Non le cambiate dal ’52 mi sa!”.
Sullo sfondo una forbice si muove freneticamente di fronte ad uno specchio. Mi
volto ma ecco tornare la cascata di parole che mi aveva accompagnato fino a
poco prima.
“¡Avíspate re-huevón!”. Come? Ho sentito bene?
“¡Desconchetumadrízate!”. L’impatto è violento. Sembrano parole
rivolte a me e di certo non si tratta di complimenti.
“¡Feo, mamón y no sabís nada!”. In sovrimpressione un nome e
un cognome che avevo già notato: Eduardo Bonvallet. Poco più in alto una
camicia di pixel di dubbissima definizione. Un comico. Gesti ampi, braccia che
vanno avanti e indietro. Una cravatta abbandonata a se stessa. Poi un indice,
puntato verso la telecamera, verso di me. Verso di me?
Bonvallet durante il focus tattico sulla nazionale cilena |
“¡Ahuevonado al máximo! Si, dico a te italiano.”. Sbatto le
palpebre e inarco le sopracciglia.
“Ehm, dottor Escobar? Dottor Escobar? -deglutisco- Ma, è
possibile che l’uomo nella televisione stia parlando con me?”.
“Certo italiano, lo lasci finire, la sta insultando come fa
con tutti. Non lo conoscete in Italia? È un opinionista famosissimo qui.”.
“Aaah! In Italia non mi conoscono, ma pensa un po’ Escobar!
Che strano! D’altronde sono solo il miglior opinionista al mondo, sono il più
grande con il microfono in mano. Ma sì, loro hanno la pizza, gli spaghetti, il
catenaccio.”. Interruttore acceso. Su quest’ultima parola inizia un turbinio di movimenti. Bonvallet
agguanta la lavagna tecnica, sposta pedine su pedine mostrando una sorta
di fase difensiva.
“Vedi? A palla coperta così, a palla scoperta così. I
difensori devono fare questi movimenti in queste due fasi. Stop. Altroché
catenaccio. Cretini.”. Gli occhi spiritati ammutoliscono qualsiasi mia
intenzione di replicare.
El Guru Loco Bonvallet |
“Bravo italiano, allora siete tutti come il commissario
Montaldamo!”. È proprio un coglione questo Escobar. Montaldamo…almeno il
cognome l’ha sbagliato, per fortuna. “Certo Escobar, certo. La ringrazio per
avermi fatto insultare gratuitamente, a buon rendere.”.
Spalanco la porta in legno. È meno pesante delle precedenti.
Mi trovo catapultato, come per magia, in un mini studio televisivo. L’oscurità
esterna, due riflettori enormi ad aiutare le tre telecamere. Un mini studio
spopolato, con un solo regista, produttore e protagonista. Non si è accorto di
me, continua la sua pantomima, la classica sceneggiata napoletana della
domenica sera alla Tiziano Crudeli, limata e preparata per raggiungere livelli
milioni di volte più irreali, dissacranti. Paragone quasi sacrilego. Sta bisbigliando
qualcosa.
Bonvallet ai tempi della U de Chile |
“U de Chile, Universidad Catolica, i mondiali dell’82, la
copa America, le richieste e gli anni negli USA. Sono il miglior mediano della
storia cilena. Ma chi cazzo pensi che sia io? Edgar Barreto?”. Si gira stizzito
verso la telecamera. Ha la bava alla bocca, alla Hetemaj. Poi si blocca, corpo
immobile, occhi che si spostano ormai usciti dalle palpebre, increduli. È crollato
tutto. Sono nel suo mondo, anzi, l’ho trascinato fuori da quel piccolo universo
solo con la mia presenza. Un pisano a Livorno, un barese a Lecce.
Corre verso di me asciugandosi la bava con la manica e
cercando nello stesso istante di raggomitolare la camicia, finendo così,
goffamente, per sporcarsi il braccio di saliva. Ci passa sopra. Un animale a
caccia. Mi passa sopra.
Pum. Non pensavo avesse un petto così possente. Pum. Non pensavo
avesse una mano così pesante. Il pavimento è stranamente soffice, come quello della stanza di Abreu. Le
due carrozze che si stanno abbattendo contro il mio naso, no.
Sto perdendo i sensi.
“…si fermi Bonvallet, si fermi, così lo uccide!”. È la voce
di Escobar. Non gli servirà il commissario Montaldamo per trovare il colpevole.
“La devono smettere tutti!...Io sono il Guru, sono il Loco…Se
solo avessi tra le mani anche Junior Fernandes!...”.
Ciaf-ciaf-ciaf. Un tagliaerba. Ciaf-ciaf-ciaf. La
progressione di Possanzini sul prato del Rigamonti. Ciaf-ciaf-ciaf. Qualcosa mi
cade sul naso. Apro gli occhi, la testa ribolle, il naso pure e scollina
stranamente nella mia visuale. È gonfio, una montagna di lividi e dolore. In cima una
ciocca di capelli nera. Non la sento nemmeno, sensibilità assente.
Ciaf-ciaf-ciaf. Lo specchio e le forbici. Ora ho capito, mi hanno tirato fuori,
sono vivo.
Locò durante l'inno angolano |
È Manuel
Antonio Cange, per tutti Locò.
“Quello è pazzo, ma anche lei è proprio una ragazzina.”.
Ferito ed umiliato ancora, appena degnato d’uno sguardo tramite lo specchio.
Locò ha sentenziato.
“Doveva saperlo che Bonvallet ha ricevuto più di
cinquanta querele per diffamazioni, offese, danni morali. Lui è così, una
macchina. Critica tutti ed è arrivato anche alla colluttazione fisica pur di proteggere le sue opinioni. Nessuno è mai riuscito a contraddirlo, nemmeno il cancro che ha sconfitto pochi anni fa. Ha fallito solo come allenatore. Si era candidato per la nazionale, non proprio umilmente, il Deportivo Temuco aveva scommesso regalandogli una panchina della seconda serie cilena. Retrocesso. Ma ormai era già ben chiaro, tra tv e radio, cosa e chi fosse Bonvallet: un loco da
palcoscenico.”.
“Ecco il ghiaccio italiano! Ma quanti pugni ha preso?”.
Scherza un divertito Escobar. Quanto vorrei colpirlo. Apro la mandibola a
fatica.
“Ho riconosciuto Locò, mondiale di Germania, quello di
Grosso e del grande sogno.”.
“Ma sì italiano, lo lasci stare questo, sta tutto il giorno
a mettersi in ordine quel capello ridicolo, non è sudamericano e non sappiamo
nemmeno che squadre siano quelle in cui ha militato. È qui perché parla
portoghese. Niente di più. Adesso andiamo, proseguiamo.”.
Ciaf-ciaf-ciaf. Vedo la testa di Manuel Antonio Cange voltarsi leggermente. Osserva il dottore. È uno sguardo ferito. Degli occhi che riflettono meglio di uno specchio la delusione di chi è ritenuto un nulla, una comparsa divertente, un finto calciatore.
“Quando giocherà un mondiale mi chiami dottore.”.
Ciaf-ciaf-ciaf. Tagliente.Carattere e orgoglio africano.
Sullo sfondo Bonvallet schiuma ancora rabbia, lo fa in preda
a convulsioni, sedato e tenuto stretto dagli assistenti.
“Bravi ragazzi, occhio al risveglio, magari dategli un
microfono nuovo per tenerlo buono. Noi continuiamo.”.
Escobar mi cinge la spalla. "Le chiedo scusa per l’inconveniente, ma sa, con i locos non si può mai sapere…meglio
stare più attenti adesso.”.
Ho male, ho male. Impreco interiormente. Cosa mi spinge a
proseguire? Scappo. Scappo: La Paz, Italia, dovunque. Sono già nel corridoio, sto già proseguendo. Ma
cosa mi sta succedendo? Che avventura, con il naso quasi rotto, senza costole. Sempre più lucida follia.
“Chi è il prossimo, dottore?”.
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