di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook cliccate QUI)
Land of opportunity, la chiamano
così. Ed in effetti la Storia ci insegna che gli Stati Uniti hanno
rappresentato per milioni e milioni di persone lungo i secoli la terra adatta a costruire un futuro luminoso, la terra delle rivincite, dei
sogni che diventano realtà: lontana dalle logiche europee, la
cultura statunitense, spesso additata come povera e materialista, si
è fondata (anche) sull'ideale del self-made man, “l'uomo che si è
fatto da sé”, colui che è riuscito a sfruttare il proprio
ingegno, il proprio talento e le enormi risorse del Nuovo Mondo
realizzando obiettivi e raggiungendo mete che, altrove, sarebbero apparse solo come nebbiose aspirazioni. Sono migliaia le
testimonianze artistiche, letterarie, cinematografiche che ruotano
attorno al mito americano ma, ahinoi romantici un po' sadici, quasi nessuno parla, invece, di chi
fallisce clamorosamente. Di chi arriva ad un passo e poi crolla, di chi è vinto dal destino, da chi finisce dimenticato nell'ombra,
assieme alla schiera di “quelli che non ce l'hanno fatta”. Fra le
pagine non scritte che raccontano l'”Altra America” merita una
menzione considerevole anche un ragazzo nato nell'1989 in Ghana, catapultato a otto anni a Rockville, Maryland, grazie ad una green card vinta
dalla madre, uno di quelli che comunemente chiameremmo
“enfant prodige”: il suo nome è Fredua Korateng Adu, meglio
conosciuto come Freddy Adu, e questa è l'impietosa cronaca del suo
sogno sbiadito.