di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook cliccate QUI)
Land of opportunity, la chiamano
così. Ed in effetti la Storia ci insegna che gli Stati Uniti hanno
rappresentato per milioni e milioni di persone lungo i secoli la terra adatta a costruire un futuro luminoso, la terra delle rivincite, dei
sogni che diventano realtà: lontana dalle logiche europee, la
cultura statunitense, spesso additata come povera e materialista, si
è fondata (anche) sull'ideale del self-made man, “l'uomo che si è
fatto da sé”, colui che è riuscito a sfruttare il proprio
ingegno, il proprio talento e le enormi risorse del Nuovo Mondo
realizzando obiettivi e raggiungendo mete che, altrove, sarebbero apparse solo come nebbiose aspirazioni. Sono migliaia le
testimonianze artistiche, letterarie, cinematografiche che ruotano
attorno al mito americano ma, ahinoi romantici un po' sadici, quasi nessuno parla, invece, di chi
fallisce clamorosamente. Di chi arriva ad un passo e poi crolla, di chi è vinto dal destino, da chi finisce dimenticato nell'ombra,
assieme alla schiera di “quelli che non ce l'hanno fatta”. Fra le
pagine non scritte che raccontano l'”Altra America” merita una
menzione considerevole anche un ragazzo nato nell'1989 in Ghana, catapultato a otto anni a Rockville, Maryland, grazie ad una green card vinta
dalla madre, uno di quelli che comunemente chiameremmo
“enfant prodige”: il suo nome è Fredua Korateng Adu, meglio
conosciuto come Freddy Adu, e questa è l'impietosa cronaca del suo
sogno sbiadito.
GLI ESORDI
Adu sorridente in un'immagine di repertorio, agli inizi delle sue esperienze con le nazionali statunitensi. |
Se sei un fenomeno, da bambino, ti notano subito. Se poi vivi in un Paese dove di fenomeni non ne esistono proprio allora attirare l'attenzione è davvero semplice: Freddy infatti arriva negli Stati Uniti e non
ci mette molto a diventare qualcuno. Dai campionati scolastici, in due anni
le sue gesta arrivano in tutto il mondo, la stella di Adu si accende così in fretta che nemmeno lui se ne rende conto. Comincia a giocare
tornei internazionali, tornei dove ci sono gli osservatori e i dirigenti delle migliori squadre del mondo: è qui che l'Inter, quando ha solo 10 anni, gli propone il trasferimento in Italia. Nota d'altri tempi: l'affare salta per
intercessione della madre. Da lì in avanti, per Adu, sarà un'ascesa
rapida e ripida, fin troppo ripida. Dalle cronache locali ai media di tutto il mondo,
dai campi di periferia alla MLS e poi ancora più in su.
Adu in allenamento durante un periodo di prova al Manchester United |
LA NAZIONALE E IL SOGNO EUROPEO
Si è capito che Freddy sarà un
calciatore: lo ha capito la madre, lo hanno capito i professori, lo
capiscono gli allenatori. Ed effettivamente Freddy diventerà un
calciatore. L'anomalia di questo sogno che non si realizzerà mai del
tutto è data però da un particolare assolutamente fondamentale: Adu esordisce
a quattordici anni (quattordici anni vuol dire che qui in Italia stai
frequentando la prima liceo, se tutto è andato bene negli anni
prima) nella MLS, la Serie A statunitense, e tutto ad un tratto il mondo
si accorge che il futuro Pelé viene dal Paese meno avvezzo a
produrre buoni calciatori. Lo shock è da brividi per tutti quanti, le
leggende e le aspettative sul ragazzo di colore venuto dal Ghana si
sprecano, e gli occhi delle grandi d'Europa si fanno sempre più
guardinghi, ingordi. Però i guai per i calciofili statunitensi che già sognavano un futuro trionfo mondiale e l'unione al concerto delle superpotenze del prato verde stanno arrivando, la delusione è dietro l'angolo. Adu, infatti, ha già smesso di bruciare e, anzi, si esaurirà presto.
Arriva anche alla nazionale, nel 2006.
Ha appena diciassette anni. L'anno dopo guida la rappresentativa under-20
durante i Mondiali di categoria: sarà il suo primo grande
palcoscenico internazionale. Ed infatti, finita la competizione
organizzata in Canada, Freddy si trasferirà nel Vecchio Continente, al
Benfica, uno dei club di maggior storia e tradizione del calcio
portoghese ed europeo. Da qui in avanti l'ascesa diventerà discesa,
declino verso l'abisso dell'anonimato.
CHE FINE HA FATTO ADU?
Del ragazzo di cui il mondo intero
parlava ora non sa più nulla nessuno, nessuno sa dov'è, nessuno sa
che fine abbia fatto. Ve lo diciamo noi. Fra i binari di una stazione un giorno ho sentito un uomo dire ad un suo amico “farai la fine di Adu”. Chissà se parlava proprio di lui.
Freddy Adu e Pelè |
Il Benfica lo manda in prestito in giro per il mondo,
dopo averlo tenuto per una sola stagione. I dirigenti lo gettano al miglior
offerente, lo parcheggiano qua e là sperando che qualcuno se ne innamori com'era
capitato a loro: un amore nato e morto in fretta quello delle Aquile di Lisbona per il Pelé di Rockville, ma tant'è, la sfumatura calza perfettamente con il copione di questa storia amara. Capita infatti che
tutti -Monaco, Belenenses, Aris, C. Rizenspor (si noti il climax
inesorabilmente discendente)- rimandino Freddy al mittente. Gioca poco
ovunque, viene anche messo fuori rosa, sicché nel 2011 il Benfica
decide di divorziare ufficialmente e accetta
l'offerta dei Philadelphia Union. Adu torna nella sua terra
d'adozione, ha appena ventidue anni ma sembra giochi (e perda) da una vita
intera. A ventidue anni, non è difficile immaginarlo, dev'essere complicato tornare a galla dopo una serie incessante di buchi
nell'acqua. Specialmente se ieri eri la stella più luminosa e ora non vedi altro che tetre nubi . Ed eccolo li, l' anti-eroe, di nuovo al punto di
partenza. La MLS, lega che nel frattempo non è più decollata, lo accoglie per la seconda volta. Adu
ci rimane due anni, segna sette gol (in trentacinque partite di
campionato) e nel 2013 decide di tentare la sorte con una nuova
esperienza. Al Bahia, in Brasile: mi piace pensare non sia una fatalità.
Ripartire dalla terra di Pelé, quasi a
sfidare i propri incubi, il proprio passato crivellato di delusioni.
A ventiquattro anni di tempo davanti ce n'è ancora tanto: la
partenza finora non è delle migliori, ma chissà. Chissà che non
arrivi il giorno giusto, chissà che Freddy non riesca finalmente a
levarsi di dosso il peso di una giovinezza passata a combattere con
l'ombra incombente del Più Grande di Tutti. Quella battaglia l'ha
persa, ma devono esserci , a questo mondo, un pallone e un prato verde fatti apposta per far tornare il sorriso a Fredua Korateng Adu, il bambino
prodigio che ha smesso di stupire troppo presto.
lui ed Eddie Gaven erano le due speranze ormai perdute del calcio d'oltre Oceano.
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