di Gianmarco Pacione
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A St Pauli i cori si lanciano così |
Il calderone di colori sovrasta tutti i sensi, annebbia la vista. Teschi e luci rosse, teschi e strip clubs, teschi e cosce aperte. Scritte tedesche. Profumo deforme, di mare navigato giornalmente. Il sicuro fruscio di gonna usata mi chiama; una spogliarellista sta fumando sul retro d'un locale. Mi osserva avanzare. "Cazzo, il solito italiano rincoglionito" starà pensando spargendo consonanti rudi. Il tacco paga, mi fa sovrastare. Le chiedo dove siamo. Amburgo, zona portuale, risponde.
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Il locale Ritze, uno dei più famosi della Reeperbahn |
Dicono che la Reeperbahn calpesti in silenzio la reputazione di Amsterdam, che la capitale tulipana nel confronto diretto abbassi la testa e cambi direzione.
La spogliarellista, Karen, Kraken, Karmen, bah, mi allunga il pacchetto. Incoccia sul mio sguardo fisso a sud, su quel seno senza K, su quell'abbondanza dipinta da un teschio a capo di due ossa incrociate. Inizia qui l'onirico viaggio nel magico mondo del St Pauli fc.
Passeggiando tra marinai ubriachi di lozione femminile, mi ritrovo davanti al Millerntor-Stadium. Prato illuminato, sempre, dai raggi delle insegne erotiche. Illuminato come il chitarrista che strimpella appena sotto la gradinata. Cresta anni '80, ritmo pure. Una cavalcata di punk direttamente nelle vene. Il culto del St Pauli è nato proprio così, da note punk, da un ballo mancino.
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Striscioni leggermente schierati ideologicamente |
Eterni secondi della città fino al più impensabile giro di boa. Anti-nazisti, veneratori del Che. In molti li definiscono come il pubblico più a sinistra del mondo. Non ci vanno molto distante. Dal punk in poi un'escalation di novità epocali: campagne sociali continue per contrastare il razzismo, la violenza sulle donne, l'omofobia. Striscioni con svastiche distrutte, bandiere della pace. Amichevoli solidali con Cuba, mondiali per nazioni non riconosciute ospitati in casa.
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Sezione calda della gradinata |
Le corde si fermano per un attimo. Anche lui, sul polso, lo stesso Jolly Roger della spogliarellista. "Italiano?" s'accerta indicandomi. "Si". Non serve altro. Le corde tornano a muoversi, le parole anche, nel vento; sono mie, sono nostre però.
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Sull'orlo di una strada una gara di follia
contro il sipario amaro della xenofobia
canti d'agonismo e di emozioni da spartir
di cori lastricati d'incoscienza e d'avvenir
danzano sulla storia di giorni conquistati
figli della memoria, pirati a Saint Pauli
danzano sulla gloria di giorni conquistati
figli della memoria, banditi a Saint Pauli"
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Nel '98 la sponsorizzazione Jack Daniel's |
A cantarla i Talco, gruppo di Marghera. Strani incroci. Come la sponsorizzazione del '98 griffata Jack Daniel's. Come Littmann, primo presidente dichiaratamente omosessuale della storia del calcio. Come loro, quelle due ossa sotto il teschio, epiteto d'irrazionalità dichiarata.
Strade sommerse da velieri pirati, marinai e prostitute uniti nello stesso coro, senza fiasco di vino in mano, con un drappo librato in cielo. Lassù dove abbraccia il vento, da oltre trent'anni, il Jolly Roger ghignante. Lassù dove sportivamente mai potrà arrivare il St Pauli, società eternamente errante nelle serie minori con qualche picco in Bundes. Lassù, o più semplicemente quaggiù, nella Reeperbahn, dove il disordine è la delizia dell'immaginazione, dove la sinistra sconfina, folle, nella fede mistica legata ad una maglia, ad uno stadio e ad un quartiere, ad un popolo consciamente disperso nell'azzurro del mare dagli orizzonti più aperti.