di
Gianmarco Pacione (clicca qui per seguirci su FB)
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"Noi lo abbiamo rifiutato" |
Le immagini in rete girano vorticosamente. Un impietoso disastro: scheletri d'alberghi che faticano a reggersi in piedi, bagni comuni, stanze imbarazzanti che regalano insicurezze ad ogni colpo d'occhio, sottopassaggi allagati.
Olimpiadi invernali, inverno organizzativo inoltrato.
Sochi si fa osservare, sbeffeggiare. Non è la prima volta.
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I coraggiosi per eccellenza. Tifosi dello Zhemchuzhina. |
Lasciamo sci, bob e slittini nello sgabuzzino, là, impolverati. Il fùtbol respira anche in questa terra di pochi. O meglio, boccheggia, annaspa. La respirazione bocca a bocca, però, non è affare di Pamela Anderson o di banchieri assennati.
Ah, i russi arricchiti, specie quasi carnevalesca, simpaticamente scellerata.
Fondare una squadra dandole il nome del proprio hotel. A Sochi fila tutto liscio nel lontano 1991, nevica sui monti, nessuno tifa, sfilano sul Mar Nero bikini cosacchi, il calcio non alza la mano all'appello. Lo Zhemchuzhina è la perla del lungomare, albergo prepotente quanto il suo proprietario. Chissà le circostanze. Un party privato, una vodka di troppo, una sciata noiosa...e riecco l'albergatore fenomeno: "Sapete che faccio? Porto il calcio a Sochi.". La sua perla trasfigurata in undici improbabili calciatori d'arancio vestiti.