di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)
Collyhurst, appena fuori Manchester,
anni Quaranta. E' la cartolina perfetta della grigia periferia
operaia inglese, fuliggine, olio, il fumo delle fabbriche. Pochi
soldi, ragazzini che devono crescere in fretta per dare il cambio ai
padri. Nasce qui Nobby, 1942. Collyhurst: un non-luogo industriale
che fa da culla ad un bambino come tanti, la speranza per il futuro
nel pieno della guerra.
Me lo immagino oggi, seduto su di una poltrona al centro di un salotto di una normalissima casa vicino allo stadio, a leggere tabloid sportivi o a seguire le partite durante il fine settimana. Lo sguardo perplesso e vigile, beffardo, da diavoletto.
Come puoi credere che questo sia ancora calcio, Nobby? Se lo è, beh,
non è più il tuo. E cosa pensi mentre i tuoi occhi urlanti vedono
scorrere auto di lusso, tubetti di gel, simulazioni, tagli di capelli
glamour, eventi mondani, veroniche, doppi passi, maglie gettate a
terra, cosa pensi, Nobby? Se davvero te lo chiedessi, vorrei mi
guardassi disgustato, senza dire una parola, a testa alta.
Nobby nasce Norbert Peter Stiles, e
oltre ad essere venuto al mondo in un posto di merda più cresce e
più a casa ci si rende conto che non potrà diventare, per esempio, un attore.
Niente soldi facili, maledizione! Basso, gracile, storto, mezzo
cieco. Già da bambino passa come quello strano, come quello brutto,
i lineamenti sono ruvidi, come se avesse segnata sul corpo tutta la
fatica delle sue vite mille precedenti, vite dure, dure davvero, a
quanto pare. Nobby, però, ha un dono. Uno, l'unico vero dono che il
destino gli ha fatto e che è anche il biglietto di sola andata per
uscire dal cemento di Collyhurst: il piccolo rachitico sa giocare a
calcio. Paga il debito col destino lasciando i suoi denti sul campo
di battaglia dopo uno scontro di gioco. Nobby è la quintessenza
della menomazione fisica, non ha la classe e la forza di Stanley
Matthews, non ha successo con le donne, eppure diventa un giocatore
del Manchester United e nel 1960, a diciotto anni, esordisce nel
massimo campionato inglese contro il Bolton Wanderers. "Tanti saluti
Collyhurst, è stato un piacere!"
Norbert Stiles inventa o quantomeno perfeziona un modo di giocare che era l'unica via tramite la quale uno con
quella faccia lì poteva sperare di diventare un calciatore vero:
“L'Assassino”, come verrà presto soprannominato, rappresenta il
simbolo di un esercito di centrocampisti di rottura che dagli anni
Sessanta in poi assurgeranno a merce rara e preziosissima per gli
allenatori. Un incubo per gli avversari, una risorsa infinita per lo
United. Nobby è un instancabile mastino che ruba palloni dal primo
all'ultimo minuto, nessuno gli chiede di impostare, nessuno gli
chiede di costruire un'azione o fare gol, lui ha solo due compiti:
difendere strenuamente la maglia e la gloria dei Red Devils e
distruggere senza pietà e tregua le manovre avversarie. Se qualcuno
di voi ha idolatrato Roy Keane, Gravesen, Tofting o addirittura
Gattuso, è merito di Nobby, che è un ragazzo ambizioso, nonostante
tutto. Non si arrende: è riuscito ad andarsene da Collyhurst,
figuriamoci se si accontenta che diventi l'Old Trafford l'ultima sua
fermata.
Nobby in maglia United. |
Prima del suo anno d'oro vince un
campionato inglese, un Charity Shield e una FA Cup: la strada per il
Mondiale del 1966 è lastricata di sudore e successi, entrate dure
come mitragliate di trincea e gloriose vittorie. Alf Ramsey, maestro
di pragmatismo e tattica, lo chiama per la Coppa del Mondo che i Tre
Leoni inglesi disputeranno quell'anno, a casa loro. Lui scenderà in
campo la prima partita come esordiente in una competizione di tale
livello e ne uscirà da vincitore. Più del trionfo in finale, Stiles
raggiunge la vetta più alta della sua esaltante carriera nella
semifinale con il Portogallo: gli tocca occuparsi di Eusebio, la
Pantera Negra vincitrice del Pallone d'Oro dell'anno prima. Eusebio
non vedrà il pallone, ma il mondo intero vedrà Nobby. Tutti si
accorgeranno di quanto la fame possa annullare anche il più puro e
fenomenale spunto tecnico: Stiles deve aver capito, alla fine di
quella partita, che per lui oramai non c'era più nessun esercito da
temere. Avrebbe combattuto fino alla fine, lo scudo in mano e lo
sguardo da giovane psicopatico, la divisa sudicia di terra e sudore,
i capelli ormai persi per strada come se avesse settant'anni, ma lo
avrebbe fatto sapendo che avrebbe vinto. “Sotto a chi tocca,
bastardi!”.
Il suo sorriso al termine della finale
con la Germania dell'Ovest diventerà leggenda, un sorriso incompleto e
allo stesso tempo colmo di gloria, di fatica, di fiera realizzazione.
Rimarrà allo United fino al 1971,
continuando a vincere in patria e in Europa (con i Red Devils trionfò
nela Coppa dei Campioni nel 1968), per trasferirsi poi al
Middlesbrough, terminando la carriera al Preston North End, nel 1975.
Tornerà al Preston due anni dopo, iniziando la sua carriera da
allenatore che durerà appena nove anni.
L'eroe di Collyhurst ha vissuto
nell'era in cui il calcio era lavoro duro e senso di appartenenza,
dove le fighette isteriche venivano lasciate ai margini, dove o eri
George Best o certe bizze non ti sognavi nemmeno di farle. Dove il
calciatore era prima di tutto uomo, dove lo sport era anche dolore, sacrificio.
E, soprattutto, ha vissuto nell'era in cui tirare calci a un pallone
da professionista non significava automaticamente diventare un
nababbo. Nobby, infatti, nel 2010 è costretto a compiere una
dolorosa scelta e a vendere gli oggetti che l'hanno accompagnato
durante tutta la sua carriera, compresa la medaglia del Mondiale del
1966. “Ho tre figli e devo aiutarli, ma non rimpiango di aver
giocato in anni in cui non esistevano i mega salari, io ero giovane e
felice. Ai giovani d'oggi posso solo augurare buona fortuna”.
Nobby mostra con fierezza la medaglia vinta nel 1966 (foto: Dailymail.co.uk) |
Nell'epoca delle Lamborghini a
ragazzini appena diciottenni, nell'era degli scandali sessuali, del
calcioscommesse, delle creste e dei tatuaggi, nell'epoca del "tirate indietro la gamba!", degli affaristi del
football, dei procuratori-sciacalli, della corruzione, Nobby Stiles
continua ad essere un esempio. A tacchetti spianati, come sempre,
con quel gran sorriso da ex-ragazzo di periferia figlio ed erede (in campo e fuori) della working class, senza rinnegare
nulla, dritto per la sua strada, fino all'ultimo tackle.
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