Sì, anche questo è tecnicamente un
derby. Solo che nessuno, dall'altra parte, lo percepisce come tale.
Arriviamo allo stadio che manca meno di un'ora. Il nostro stadio.
Griffith Park si annuncia al completo, esauriti i biglietti, nessun
seggiolino vuoto. Il nostro catino, stavolta, diventerà il centro
del Regno d'Inghilterra. Si respira un'atmosfera strana, quel misto
di timore e rispetto che va a mescolarsi con l'incosciente ottimismo
di chi conosce il football, di chi sa come vanno certe cose.
Quell'incoscienza che appartiene solo a chi percepisce la magia. La
palla rotola impazzita. Le gioie degli uni, le tragiche cadute degli
altri. Il sole bacia Brentford, quasi acclamando un'insperata
impresa: accanto a me i soliti amici. Il gruppo storico: Jamie, Ed,
Stan, The Bouncer, Frankie Valentine. Saremo presto dodicimila.
Domenica ventisette gennaio. Mezzogiorno. Oggi c'è il Brentford,
oggi è FA Cup. Oggi arriva il Chelsea.
Griffith Park, la casa del Brentford Fc. |
Il nostro campionato non sta andando
tanto male. Categoria strana, la League One. Sei punti dal vertice,
ma siamo in sette club nel giro di undici punti: questa, però, è
un'altra storia. C'è chi dice che in Inghilterra la coppa nazionale
sia più importante del campionato stesso. Chi può dirlo, barattare
un anno di sacrifici e trasferte, di tante vittorie e poche
sconfitte, con una sola notte magica è un processo che logora,
meglio non pensarci. La mia pancia piena di Thomas Hardy's, la birra
migliore che esista, e panini assortiti. Non abbiamo aliti deliziosi,
suppongo. Non siamo neanche bellissimi, a dirla tutta. A Frankie
Valentine mancano due denti, li ha persi in gioventù quando giocava
a rugby: arrivò fino alla serie B o qualcosa del genere, poi si
diede definitivamente all'alcoolismo e, a detta sua, è stata la
scelta migliore che potesse fare. Siamo simpatici, però. Parliamo
con due biondine, dicono di non essere di qui. Accompagnano un amico
che è appena andato in bagno, dicono. “Maledetto cazzone, due al
prezzo di una”, pensiamo noi tutti. Ci guardiamo. Una è alta,
l'altra bassetta, ci perdiamo quasi tutto il riscaldamento per
conoscerle. Poi, dopo venti minuti, torna il bastardo. Un gigante che
abbiamo già visto molte volte qui al Park. Ogni tanto viene pure in
trasferta. Uno stronzo. Lui e quelle due, ci giriamo e cominciamo a
cantare.
“And it's super Brentford,
super Brentford Fc,
we're by far the greatest team
the world has ever seen!”
Dimenticato presto
lo stronzo con le due fatine. Scoccano le dodici, le squadre sono
dentro. I giocatori delle squadre di Premier sembrano sempre degli
eroi. I nostri, invece, gregari, operai, studenti e talenti persi nel
vuoto. Spaesati, ammaliati anche loro dai colori e dalle toppe e
dalla grafica dei numeri sulle maglie degli avversari. Hanno quasi
tutti i titolari, in campo. Ci sono Terry, Lampard, Torres, Oscar.
Noi rispondiamo con Trotta, Forrester, Diagouraga. Siamo orgogliosi
di quello che siamo: la squadra di un quartiere, di un territorio.
Piccolini, sfigati, mai vincenti. Eppure eccoci qui, come ogni
maledetto week-end. Il Griffith Park ondeggia tra l'esaltazione di
noi che cantiamo, e il timore delle signore sedute sulle tribune con
i guanti del club. Si gioca.
Mal di stomaco,
tremo, agitazione, canto. Inveisco. Adoro il football. Poi al
quarantunesimo minuto impazzisco. Rubiamo palla fuori dall'area,
Forrester calcia, Turnbull la respinge sui piedi di Trotta. Tiro
secco, sul primo palo. Credo. Due giganti davanti a me mi ostruiscono
la visuale, so solo che andiamo in vantaggio. Trotta. La promessa
italiana mai mantenuta. Siamo avanti noi: prima della fine del primo
tempo, momento decisivo di molte partite. Il duplice fischio arriva
presto, quel che si respira durante l'intervallo è indescrivibile.
Davide e Golia, per l'ennesima volta, dalla Bibbia alla realtà. Se
Dio esiste, ora è qui, a Brentford. E ha la sciarpa biancorossa.
E' presto tempo di
tornare in campo, e non ci mettiamo molto a tornare sulla terra. The
Bouncer, che è il meno ottimista della banda, inizia a mordersi il
colletto del giubbino. Ne ha fatti fuori a decine con quel dannato
vizio: quando lo fa, vuol dire che sta per succedere qualcosa. E in
effetti, anche stavolta il suo odioso sesto senso non sbaglia. Ci
dobbiamo inchinare ad Oscar, ragazzino magrolino con lo sguardo
timido e i piedi che scrivono poesie. Un gol meraviglioso, sotto il
nostro settore. Stavolta la palla la vedo, si infila sotto la
traversa, i due scimmioni davanti non si muovono. Sono due gargoyle,
pietrificati. L'atmosfera cambia, ma non smettiamo di gridare. Ci
siamo ancora, c'è un tempo da giocare e ne siamo certi, Dio è qui
oggi. Non andiamo in Chiesa dalla prima comunione, a parte Ed che ha
sempre dovuto fare il bravo nipote e allora ogni tanto ci
accompagnava la nonna, ma non importa. Lui c'è. Un minuto dopo Mata
va vicino al gol, tremiamo, ma non cadiamo.
Adeyemi salta Turnbull: calcio di rigore. |
Passano circa venti
minuti, e accade un'altra magia. Adeyemi, appena entrato, punta
l'area e salta Turnbull. Cade, l'ha preso. “Penalty!”, urla
Valentine. L'arbitro fischia subito. Il rigore c'è, sacrosanto: vedo
che una delle biondine mi guarda, ammiccante. Non mi giro nemmeno,
anzi forse solo un pochino. E' bella davvero, cazzo, peccato stia
giocando il Brentford e, ancor di più, peccato che ci sia un rigore
per noi. “I am here for football, baby”.
Sistema la palla
sul dischetto Forrester. Ragazzino forte, ventuno anni, preso dai
Villans. Sono secondi interminabili, poi parte la rincorsa, e per un
istante sembra che tutta Londra taccia. Il tempo si ferma, in quegli
attimi, tranne che per Forrester che corre verso il pallone. Lo
calcia. E' un tiro angolato, ma debole, Turnbull si stende, Dio è
con noi. La palla entra, Griffith Park si infiamma. Siamo ancora
avanti, a meno di venti dalla fine. Ci strattoniamo, saltiamo, volano
sberle e pizzicotti amichevoli. La folla inghiotte le due bionde,
amen. The Bouncer prende in braccio Ed e Jamie. Li alza di peso, loro
urlano e non importa a nessuno dei due se le loro giacche di lì a
poco si strapperanno. Tutto lo stadio sembra alzarsi verso il cielo,
di fronte a noi quelli del Chelsea sono muti. Il vento e il Brentford
li hanno pietrificati. Mi scappa una risata, la dedico a loro.
La partita, però,
non è destinata a finire così. Il nostro capolavoro ce lo rovina il
campione triste del Chelsea, Torres. Segna da fuori, a giro, dopo che
Ba è riuscito a mantenere viva la palla al limite dell'area. Moore
battuto ancora. Un gran gol, anche questo lo vedo bene. I Gargoyle
non si muovono, a me cade la sigaretta dalla bocca, impreco. Sono
ancora vivi. Il nostro silenzio dura poco, partiamo all'unisono a
cantare ancora.
Oh West London
(Oh West London)
It's wonderful
(It's wonderful)
Oh West London is
wonderful
It's full of tits,
fanny and Brentford
Oh West London is
wonderful!
Non ho più voce,
triplice fischio. Due a due finale, cantiamo ancora. Sai, Dio, è
meglio così. Vuol dire che ti sei divertito e vuoi rivedertela.
Pazienza se non sei dalla nostra parte. Tra venti giorni ce la
rigiochiamo. Si va da loro, stadio sfavillante, sponsor, turisti in
visita. Noi ci saremo. Con o senza di te.
Li ringraziamo
tutti, cantiamo, festeggiamo. Siamo noi gli eroi, i biancorossi che
nessuno conosceva fino ad oggi, lo stadio stenta a svuotarsi. Stan mi
urta ancora: “Pub?”. “Sì e...”, do un'occhiata alle bionde.
Sparite, c'è solo lo stronzo che era con loro. Sono sicuro di
essermele sognate, maledetta birra. Mi strattona ancora, “e?”.
“Niente,
pensavo”.
“A cosa?”
“Al fatto che amo
il football”.
Il sole è sceso,
il vento gelido ci è entrato nelle ossa e ora inizio a sentirlo. Poi
parte ancora un coro. La festa non finirà.
Gian Maria Campedelli
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Griffin Park non Griffith Park
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