“Ma l'avete visto Ince, con la testa
fasciata? Sembrava una pinta di Guinness che correva per il campo!”- Paul
Gascoigne.
Sembra impossibile, ma per molti sta quasi tutto
qui. Basterebbe questa frase, nient'altro. Il calcio, la birra, la
dissacrante ed ironica condotta di vita. Il problema è che quel
“quasi” conta più di tutto il resto. Perché raccontare Paul
Gascoigne non può essere solo un semplice esercizio di goliardia,
raccontare di Gazza è una responsabilità. Scrivere di Gazza è un
peso, un macigno, un rischio. E' mettersi di fronte a un simbolo, a
una leggenda e andare oltre l'involucro appariscente, scoprendo tutto
ciò che c'è dietro.
L'esultanza di Gascoigne e compagni dopo il gol alla Scozia nella partita inaugurale di Euro 96 (foto UEFA) |
Paul Gascoigne nasce a Gateshead,
appena fuori Newcastle, il 27 maggio 1967. Nasce, cresce, vive per il
calcio. Il talento c'è, eccome, anche se Ipswich, Middlesbrough e
Southampton lo scartano. Proprio il Newcastle United, allora, lo fa
entrare nella sua Academy. Ha sedici anni. Esordisce a diciotto in
prima squadra, ci rimane fino al 1988, poi Tottenham, il
trasferimento italiano alla Lazio, in Scozia sponda protestante di
Glasgow, Middlesbrough, Everton. Seguono tre brevi esperienze: al
Burnley, in Cina e negli Stati Uniti. Esperienze che poco hanno a che
vedere con il calcio, quello vero. Paul detto Gazza è un
centrocampista offensivo con un buon fiuto per il goal, un fisico da
toro, un virtuoso dribbling, la capacità di farsi amare e odiare in
egual misura, essere idolo o nemico giurato. Niente mezze misure,
mai. In Inghilterra Gascoigne diventa, nel suo periodo “d'oro”(
tra fine anni 80 e la prima metà degli anni 90) un'istituzione.
Colleziona decine di presenze con la nazionale inglese, segna,
diverte. Raggiunge i punti più alti d'empatia con il popolo di Sua
Maestà in due occasioni: dopo l'ammonizione in semifinale ai
mondiali di Italia 90, quando scoppiò in lacrime in mondovisione
perché quel cartellino gli sarebbe costato la finale nel caso in cui
gli inglesi avessero battuto la Germania Ovest (non fu così) e nel
1996, durante gli Europei, quando segnò alla Scozia uno dei goal più
belli della storia del calcio, seguito poi da una celebre e
liberatoria esultanza.
Novembre 2012: in occasione di Lazio-Tottenham, Gascoigne torna all'Olimpico in versione spettatore. Sarà accolto come un idolo. |
Dietro tutto questo, scavando oltre il
mito, però, vi è l'uomo. E l'uomo Paul è un uomo complesso,
fragile, tormentato. Una vita estrema la sua, senza mai prendere
fiato, senza vivere mai nulla in modo normale. Già da bambino soffre
di allucinazioni e crisi di panico e risente di alcuni avvenimenti
personali legati, ad esempio, alla morte di un amico e di altre
persone attorno alla sua famiglia. Poi, le dipendenze: Paul, con
quelle, inizia presto. Inizia da giovane, con le sale giochi. Ci
spende tutti i suoi soldi. Il calcio è un'opportunità per uscire
dalla miseria, è la via che il destino gli ha dato per costruire il
proprio futuro. Vuole tirare fuori la sua famiglia dai guai, sa di
poterlo fare col suo talento. Sembra funzionare, ma è solo una
bellissima e dolorosissima illusione. Un quadro di Monet su una parete che nasconde
profonde crepe. Gazza vivrà la sua carriera in bilico, come
un'equilibrista, camminando a fatica su una fune che, via via, andava
facendosi sempre più sottile. Il peso del talento e del successo
sulle spalle, le vertigini causate da un'esistenza burrascosa. Cadrà,
da quella fune. Rovinosamente scivolerà più e più volte, riuscendo
ogni volta a rialzarsi. Lentamente, con fatica. La dipendenza
dall'alcool e farmaci , l'orrendo accanimento della stampa, i
disturbi bipolari, la politicamente corretta indifferenza dei
salotti buoni del calcio moderno. Gascoigne, con il passare del
tempo, diventando inutile il suo talento, si accorgerà d'essere solo
un uomo. Ed un uomo solo contro i suoi fantasmi. Gli anni duemila li
vivrà dentro e fuori da cliniche e prigioni, una volta lasciato il
calcio: ricoveri, fughe, possesso di droghe, overdose, povertà.
Dichiarerà di non aver più nulla: dirà di aver sperperato tutti i
soldi guadagnati con il calcio. Come se, appendendo le scarpe al
chiodo, il flusso autodistruttivo di Paul fosse uscito del tutto,
finalmente libero di imperversare sulla sua vita.
Oltre il goliardico mito di Gazza
Gascoigne ci sono i traumi e le difficoltà dell'infanzia,
l'incontrollabile spinta verso l'eccesso, il dramma vero. La
sofferenza di chi non ha saputo reggere il peso della vita, l'irrazionale tendenza a soffrire, a distruggere. E poi c'è stato il
talento: purissimo, cristallino, romantico. L'unico in grado di
contrastare tutto il resto. Una storia, quella di Paul, come tante altre. Come quella di Best e Garrincha e di altri fenomeni maledetti che hanno contribuito, con le loro vite estreme, sregolate e funestate dal dolore, a mostrare il lato fin troppo umano del pallone. Sperando che stavolta l'epilogo sia diverso. Con tutto il cuore.
Come on you Gazza.
Gian Maria Campedelli (Profilo Facebook)
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