di Gian Maria Campedelli (per seguirci sulla nostra pagina Facebook cliccate QUI)
Ciò che ci insegnano da bambini, se ci
piace questo gioco, è che i più forti non vengono da qui. I più
forti hanno la pelle un po' più scura della nostra, giocano scalzi col sorriso,
per strada, e la loro nazionale indossa magliette gialle e verdi che,
però, verranno sempre definite “verdeoro”, in omaggio ai tempi
che furono. Ci insegnano che quel Paese, il Brasile, ha generato il
più grande campione di sempre e che loro sono quelli che hanno vinto
più campionati del mondo di tutti. Al di là di luoghi comuni e
verità un po' preconfezionate, tutti quei discorsi, da piccoli, ci spingono in una sola direzione: voler diventare come loro.
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"Pior Time do Mundo" |
Non importa quanto tu sia brocco, non
importa quanto tu sia scoordinato, scarpone, lento o ciccione, ci sarà
sempre e comunque un pomeriggio al campetto, nella tua innocente infanzia, in
cui proverai ad imitare Ronaldo. O Denilson. O magari Romario. O
ancora Roberto Carlos, se ti piacciono le robe forti.
Ci sono
cose, però, che non ci hanno detto e che, invece, avremmo dovuto (o
voluto) sapere. Non ce le hanno dette, nella maggior parte dei casi,
in buonafede: semplicemente non ne sapevano nulla, i nostri
educatori. Ed è un peccato, perché ci saremmo risparmiati serate
intere a fare i conti con la lenta ed inesorabile consapevolezza che
di brasiliano, noi, non avevamo nulla. Con la triste convinzione che al massimo potevamo
aspirare ad essere degni eredi di una splendida tradizione di
rocciosi difensori o, se proprio ci andava di lusso, fantasisti un
po' latini e un po' europei, a metà fra Rio de Janeiro e Berlino. Se
invece ci avessero raccontato la storia di Mauro Shampoo, ah, quante
risate ci saremmo fatti, pensando che in fondo non eravamo così negati come volevano farci credere.
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Foto di repertorio dell'Ibis durante i gloriosi anni 80. |
Anni 80, Paulista, stato del
Pernambuco, Brasile. Siamo lontani, e non solo geograficamente, dal
calcio europeo e dai suoi irresistibili richiami: qui è tutto ancora
incontaminato (o quasi), e l'oceano Atlantico fa da cornice ad una
delle squadre più leggendarie di sempre: l'Ibis Sport Club. Non
meravigliatevi di non averlo mai sentito nominare, ma, piuttosto, fatevi un esame di coscienza. Perché l'Ibis, a suo modo, ha scritto la Storia di
questo gioco. L'ha scritta, rullo di tamburi, facendosi incoronare “peggior squadra del mondo”. Peggior-squadra-del-mondo. E non
senza motivo: il Guinness non avrebbe mai concesso un tale onore
senza almeno un qualche (de)merito tangibile. L'Ibis, infatti, tra il
1980 e il 1984, lungo un arco di 3 anni e 11 mesi, non è riuscita a vincere nemmeno una partita. Nessuna
vittoria e, anzi, nel magnifico 1983 i rossoneri di Paulista furono
in grado di collezionare 23 sconfitte su 23 gare. A guidare le
sventurate imprese del “Pior Time do Mundo” (scritta ricamata
ancora oggi sulle magliette da gara) c'era proprio Mauro Shampoo.
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La storia di Mauro comincia come quella
di tanti altri bambini brasiliani ma prosegue e finisce prendendo la
via dell'eterna gloria: da bambino è costretto a guadagnarsi da vivere
facendo il lustrascarpe sulla spiaggia, per pochi spiccioli, e alla
sera riesce a trovare le forze per giocare a pallone. Non è tanto
bravo, a dirla tutta, ma crescendo entra a far parte di una squadra:
l'Ibis. Nel frattempo lascia la spiaggia e impara un nuovo mestiere:
diventa parrucchiere, "cabeleireiro". Parrucchiere e calciatore, lo
strano accostamento che contribuirà a relegare il suo nome fra le
icone del calcio e del folclore brasiliano. Shampoo, così, comincia la
sua lunga storia d'amore con il Club di Paulista: giocherà per dieci
anni, vivendo anche i tragicomici anni 80, ergendosi a capitano e bandiera della
squadra peggiore del mondo. A suggellare questo idillio le
statistiche parlano di un gol, uno solo, segnato in dieci anni di
Ibis. Una realizzazione, in uno stadio semideserto, in una partita persa per 8 a
1. Un gol dalla sconfinata inutilità, penseremmo tutti.
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Shampoo ed il suo improbabile look. |
Mauro, invece, non ci crede, e chi quel giorno
era presente all'evento giura di non aver mai assistito a tanta gioia
per una rete. E non importa niente se perdi e ne prendi 8 e se non c'è
un gran pubblico a sostenerti. A Shampoo basta questo: averla buttata
dentro. Il parrucchiere calciatore dichiara così di aver realizzato
il suo più grande sogno e, conclusa la prodigiosa carriera da
centravanti, torna a tempo pieno nella sua bottega. Le pareti sono
ricoperte da centinaia di foto dell'Ibis e il suo negozio diventa meta di pellegrinaggio di tifosi e appassionati. Gente da tutto il mondo, malati di calcio, giornalisti, curiosi. Paulo Henrique Fontanelle e Leonardo
Cunha Lima gli hanno dedicato un cortometraggio (“Mauro
Shampoo, giocatore, parrucchiere e uomo”) e c'è chi, in Brasile,
dice che quel gol vale quasi come il millesimo di Pelé in maglia
Santos: così straordinario e unico da costituire un parallelo
paradossale ma inconsuetamente solido, parallelo che affonda la sua logica esistenza
nell'illogica magia romantica del “futebol”.
L'Ibis, dopo il ritiro del proprio simbolo dai capelli corvini, proseguirà il faticoso cammino alternando sconfitte (tante, tantissime) e vittorie (poche,
ovviamente), addirittura aggiornando il libro dei record nel 1999, anno in
cui la squadra riuscì a conquistare ben 7 vittorie in campionato. Un
trionfo. O forse no, perché i tifosi non sembrano troppo contenti di
vedere la propria squadra snaturarsi così: si deve perdere, perdere sempre, per mantenere la propria identità.
Fra goliardia e leggenda, Shampoo, invece, continua a
tagliare capelli. Col sorriso e la fierezza di chi sa di aver fatto
qualcosa che verrà ricordato. A prescindere. Basta poco, quando si ha un pallone.