di Gianmarco Pacione (clicca qui per la terza puntata)
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El loco Doval ed i colori di Flamengo e Fluminense |
L’incontro con Higuita ha avuto un sapore strano, il fascino
della festa rovinata, una tremenda sensazione d’incompletezza. Una luce troppo
potente che, cercando ostinatamente vie di passaggio in quella folta chioma,
crea molte, troppe ombre.
Carrozzieri, Maradona, Bachini, Flachi, Van Der Meyde,
Caniggia, Mutu, l'ex numero uno colombiano stesso... Alcuni fenomeni, altri lottatori, tutti dipendenti. Strano mondo
quello del pallone, a volte troppo coinvolgente, logorante per personalità ben
distanti dall’essere forti ed incorruttibili. Ragazzi che in un attimo, in
pochi scatti e gol, si ritrovano sulla cima del mondo. Una vetta troppo alta
per non essere imbiancata.
Avanzo nel corridoio pensando a questo lato oscuro del fùtbol,
lasciandomi avvinghiare da un ineluttabile senso di tristezza. Una televisione,
la stessa che ascoltavo poco fa, mi attira a sé, quasi prendendomi per l’orecchio
e trascinandomi. Si distinguono chiaramente delle voci, ma il mio furto di
parole viene placato immediatamente.
L'ammaliante sorriso di Narciso Doval |
Davanti a me scorgo una minuscola cappella incavata in un
angolo. Ha tutta l’aria d’essere una chiesa, al suo interno pare si stia
svolgendo una funzione. Interrogo Escobar con il mio classico, quanto banale,
sguardo incompetente. Lui sorride: “Italiano, non tutta la follia è negativa,
certi uomini illuminano irrimediabilmente l’animo di chi li osserva, di chi li
esalta, di chi li tifa. Questa è una cappella in onore di Narciso Horacio
Doval. Avanti, entra, oggi è il giorno della sua commemorazione. Buono spettacolo.”.
Varco la soglia, sfioro con le dita gli stipiti in legno. Rispettoso.
Ad attendermi un tripudio di colori, una marea d’emozioni sgargianti, danzanti
sulle note d’una lucente ballata di samba. Saranno cinquanta, ma che dico,
cento persone racchiuse in uno spazio strettissimo. Non ci sono banchi, statue,
scalini o ceri. C’è solo uno spazio occupato da figure in festa che si sfiorano
saltando, si abbracciano ridendo.
Un giovanissimo Doval in maglia San Lorenzo |
Si presenta davanti a me una forma buffa. Ha il capo cinto
da una bandana tricolor, una maglia a strisce rosse e nere che accentua,
goliardicamente, la sua linea non perfetta, dei pantaloncini che recitano la scritta “Dale
Ciclon!” e dei calzettoni bianchi caratterizzati da una mongolfiera rossa. Mi colpisce forte sulla spalla con uno schiaffo. “Vamos, vamos!”. È tempo
di festa, me lo fa intendere indicandomi tutti quei ballerini tanto gioiosi
quanto improvvisati.
Scendo anch’io in pista, si, probabilmente sto diventando un
po’ LOCO. Influenze incontrollabili. Imbarazzato sguscio tra mattonelle usurate
da tempo e scarpe volteggianti. Tutti gli uomini indossano, in un modo o nell’altro, cinque colori. Un tributo, un connubio devoto. Mi faccio largo tra un gruppo di
signore avvenenti, ballerine di primo livello, penso, e non solo. Poi ecco ciò
che cercavo.
Primo piano di Narciso fuori dal campo |
Un altarino, un’edicola dedicata ad una figura che non
conosco. La foto in primo piano ha subito un impatto fortissimo sul mio cuore. Due
occhi, azzurri come, più del cielo. Un fluente, selvaggio capello castano, contornato dai riflessi del sole. Una bellezza di rara intensità, una bellezza che lascia spiazzato ed
invidioso qualsiasi uomo. “Sarà sicuramente un attore.”, penso. Altre foto, la pelota
tra i piedi, il Maracanà alle spalle. “Amigo! Esto es "El Loco" Doval!”. Tuona un
baffone prodigato in un casque’ di dubbia qualità.
Non posso non farmi attrarre da quella celebrazione, devo
indagare. Dalla parete conducono le danze quattro camisete. Sono quelle del San
Lorenzo, del Flamengo, dell'Huracan e della Fluminense. Ecco l’origine dei colori che
dipingono la stanza, posati fedelmente sui corpi di quegli ammiratori senza età
e stanchezza.
Il baffone, liberatosi della sua compagna di ballo, mi s’avvicina.
Si chiama Fabio, dice, vuole raccontarmi la storia di questo campione. Mi
siedo, religiosamente composto in quel luogo sacro. Le note svaniscono coperte
dal suadente accento portoghese del sudato magazziniere di Rio de Janeiro. Apprendo,
mi meraviglio.
“Narciso era un attaccante, un tuttofare là davanti, potente, elegante,
intelligente. Iniziai a seguirlo nel ’62, quando esordì contro il River con la
maglia del San Lorenzo. Era giovanissimo, aveva diciassette anni. Eppure dava
già l’impressione di capire il gioco, d’interpretarlo da grande artista. Le fattezze d’un angelo, il cinismo d’un
diavolo. Diventò
un elemento fondamentale dei "Carasucias", i giovani con il volto sporco. Già, perché
il Ciclon vide sbocciare in quegli anni talenti impressionanti e giovanissimi. Li
fece giocare, soprattutto nel ’64, li svezzò. Erano un piacere per gli occhi,
tocchi rapidissimi, menti sublimi e guizzanti che scrivevano, a loro insaputa,
la storia del gioco. Insolenti, sfrontati bambini di periferia catapultati nel
più grande dei palcoscenici. Eppure le gambe non tremavano per il figlio del
barrio (quartiere) Palermo ed i suoi amici. Guardi, eccoli qui tutti e cinque: Areàn, Casa, Veira, Telch ed il
nostro amato.”
I "Carasucias" del San Lorenzo, primo a sinistra Doval |
Brandisce un’immagine stropicciata, prelevata dall’altarino
rapidamente, senza farsi vedere. Il rosso ed il blu a risaltare i volti di
concentrati, tesi adolescenti.
“30 gol in 90 partite, mica poco sa per un bambino appena cresciuto! Ero al settimo cielo
quando sbarcò a Rio per vestire la maglia della mia squadra, il Flamengo. Aveva
appena vinto il campionato, eppure arrivava da un momento difficile, era appena stato punito pesantemente dall’AFA
(federazione argentina).”.
Fabio indica due immagini stilizzate: un pappagallo, una
hostess vista di spalle. Davanti a loro Doval che se la ride.
Esultanza di Doval con la maglia del Flamengo |
“Uccise un pappagallo, gli dava fastidio durante un ritiro
in Guatemala, peccato che fosse l’animale simbolo per i guatemaltechi. Pochi giorni
dopo si prese le colpe per un “buffetto sul sedere” rifilato ad una hostess da un
suo compagno di squadra sposato. Ma le pare che avesse bisogno di questo per
agganciare una ragazza uno così? Ma andiamo! Quando arrivò in Brasile tutte le
donne impazzivano per quell’attore uscito dalle polverose strade di Buenos
Aires calciando un pallone. Lo amavano, lo chiamavano “El Gringo Loco”. Pareva una celebrità americana con il vizio del gol. Gli vidi gonfiare la rete 31 volte tra
il ’69 ed il ’76, faceva coppia con Zico. Alla sola idea d’andare a veder
giocare quei due mi scioglievo, mi emozionavo come se ogni domenica fosse un
primo appuntamento. Lo persi per poco, nel ’71, quando si fece mandare in prestito all’Huracan a causa
di Yustrich, un allenatore che cercava di snaturarlo, cercava di fargli
tagliare i capelli, di non farlo più sfrecciare sulle sue preziose moto. Ed ecco che iniziò la sua leggenda."
Il magazziniere di Rio si svita i baffi con un gesto particolare, automatico. Sa di narrare una fiaba unica, una storia che non ha eguali, ben protetta però dal sottobosco del calcio magico.
"I Quemeros
(piromani, tifosi dell’Huracan), sono da sempre contrapposti a quelli del San
Lorenzo. Un odio fraterno tra vicini di casa, puro, viscerale. La classica tradizione familiare che sfocia nel fanatismo ed in scontri continui allo stadio, a scuola, al bar. Eppure il mio idolo non venne mai
insultato dai suoi primi tifosi, anzi, fu sempre acclamato anche con la maglia
del Globo da tutte e due le fazioni della capitale argentina. L'unico, il solo rispettato da questi due fratelli irrequieti dell'immensa Buenos Aires. Narciso era una
personalità, il quinto membro sudamericano dei Beatles; un arrogante perla d’area
di rigore, l’irresistibile latin lover delle spiagge brasiliane. Attraeva
chiunque, senza lasciare la possibilità di svincolarsi da quel tacito patto d’amore.”.
"El gringo loco" con la tricolor |
Fabio si blocca un istante, si tocca il cuore con la mano
destra, preme sul simbolo del Flamengo, pare prendere fiato come se dovesse
affrontare una lunga corsa ad ostacoli, poi riprende.
“Io non capivo totalmente quell'atteggiamento dei tifosi del San Lorenzo. Ero sbalordito, non me ne capacitavo. Poi uno shock, non saprei come altro definirlo: un tremendo errore del nostro presidente, una parte del nostro cuore che andava al peggior
nemico senza che noi potessimo alzare un dito. Nel ’76 Doval iniziò a vestire la maglia della Fluminense, nostra rivale storica, odiatissima sorella. Eppure quell’artista del gol continuava a
restare dentro di noi, assieme al suo sorriso, alle sue esultanze radiose, alle sue realizzazioni irruenti, alle sue conquiste notturne. Vedi questo?”.
Si alza in piedi Fabio, mostrandomi un sacrilego
pantaloncino della Flu, bianco, che indossa. Impensabile contraltare di quella maglia
rosso nera.
Esultanza di Doval dopo il gol-scudetto |
“Questo lo usò proprio lui, nell’ultima gara del ’78,
quando calciò la palla decisiva per le sorti di quel campionato, per vincerne
un altro dopo i due che conquistò spinto dai miei cori. Per segnare il ventesimo
gol della stagione, per diventare capocannoniere, ancora una volta.”.
Gli occhi di Fabio trasudano magia, amore. È un tifoso, un uomo indelebilmente legato ad una figura. Devoto ammiratore d'un eroe epico ed atipico. Ammaliato, stregato tanto da superare la
passione per la sua squadra, tanto da sostenere quel Loco nella peggior maglia nemica.
“Incredibile! Tutti, tutti lo venerano. San Lorenzo e Huracan, Flamengo e Fluminense. Isole confinanti, perennemente in guerra tra loro, con un unico totem ad unirle. Simbolo di pace, di felicità che riesce ad andare oltre qualsiasi fede."
Come se il tempo fosse bloccato, il colorato magazziniere continua ad esaltare Doval, a tributare la sua figura con un'incessante ondata di parole, di gesti. Non è il solo, è contornato dalle urla di
cento e più persone. E l'affluenza continua, di pari passo con la musica, non curanti del contesto, del luogo, di Abreu, di Vargas e dei pazienti.
“Sa, questo pezzo fu scritto proprio in onore del “Gringo Loco”. S’intitola “Troca-Troca”, è il manifesto dei nostri sentimenti nei suoi
confronti. Rappresenta esattamente come e quanto ci mancasse e ci manchi tuttora in maglia Flamengo. Già, perché Narciso non
poteva dipingere calcio per sempre, così come non poteva condurre la sua vita ai limiti della folle
allegria fino a tarda età. Aveva un cuore grande, lucente. Un cuore troppo grande,
che smise di battere dodici anni fa. Aveva 47 anni.”.
Doval che osserva il figlio |
Fabio è commosso, le lacrime si confondono, sul suo volto paffuto, con il sudore
provocato dalla sfrenata danza. Non intaccano, però, la dolce, serena espressione che
accompagna quest’inaspettato narratore da molti minuti ormai.
“Ha unito quattro tifoserie rivali, ha regalato al gioco
emozioni uniche, è stato una stella, un divo umile e con un grande sogno:
quello d’amare e di farsi amare, indipendentemente da maglie e colori.”.
Mi volto attorno, mi attende un panorama splendido. Una
torcida trapiantata da quattro gradinate differenti in quella piccola stanza. Celebrano tutti la vita d'un campione. Il “Troca-Troca” muove bacini Cuervos, mani rubro-negre,
sguardi Quemeros, sorrisi tricolor. Lo fa più intensamente che mai.
Abbraccio Fabio, quasi senza
volerlo. Lo ringrazio per la storia che mi ha donato. Lo ringrazio per la
avermi riportato sulla retta via, in quel mondo in cui la pelota fa sorridere,
divertire, innamorare.
Quel magico mondo in cui un uomo dal ciuffo ribelle e
dagli occhi azzurri ha unito quattro nemici storici, parenti stretti perennemente imbronciati, facendoli idealmente sedere
allo stesso tavolo, pagando loro una birra e presentando a ciascuno di essi una
bella ragazza.
Grazie Fabio, grazie “Gringo Loco”. Ballo con voi, ballo per
voi. Goffamente, gioiosamente. Ballo per la vostra, la mia passione. Ballo per
la pazzia del fùtbol.
Escobar mi osserva divertito dall'esterno della stanza. Tocca l’orologio,
è tempo d’andare. È tempo di proseguire con il sorriso la mia marcia nella
follia.
Due foto esplicative del "gringo loco": creatività, personalità e fascino |
...senza parole...io non conoscevo questo giocatore.....sono molto colpita dalla sua storia....
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