lunedì 14 aprile 2014

EROI MASCHERATI. ITINERARIO NEL CARNEVALE DEL FUTBOL. (PT.1)

di Gianmarco Pacione (per seguirci su FB clicca qui)
Rey Mysterio dopo una 619 al Barbera...o Miccoli dopo il gol alla Lazio.


 Pochi sofismi, poco Pirandello. Il fascino della maschera, volto coperto, celato. 

Frutto d’un infanzia esaltata dai vari Tiger Man e Rey Mysterio, Freddy Kruger e supereroi Marvel. Tanto tubo catodico, tante patatine ad assediare il mio inerme appetito e molte diottrie perse per strada. 

Il carro carnevalesco
La maschera, segno d’eclettica unicità. Deve pesare sul volto, pensavo. Deve pesare su sé stessi perdere l'identità, come colti da una sorta d'inebriante droga passeggera, discrezionale.

 Lanciano tutti caramelle, il volume del carro è assordante. Il caleidoscopio di colori e travestimenti non ha tempo e luogo: Rio, Venezia, Viareggio, no. Sono solo, seduto. Impugno stelle filanti e coriandoli. L'odore di vernice m'inebria, il terreno è soffice, sembra erba. Davanti a me un bus gigante senza tettuccio: le casse ai lati, appena sopra le ruote, gridano incontenibili. Volto la testa e per un istante scorgo una porta in lontananza. Linee bianche mi circondano, sono nel cerchio di una metà campo. Il carro davanti a me ha un'andatura lenta e divertita, è surfato da decine di uomini in pantaloncini e scarpe con tacchetti. Che sfilata è, dove sono finito?

Ma quello, quello l'ho già visto.

Ivan Kaviedes dopo il terzo gol.
Era un improbabile Ecuador-Costa Rica, fase a gironi dei mondiali. Minuto ’93, i ricordi sono limpidi. Partita virtualmente finita con la Tricolor già sopra 2-0. Mendez che scappa sulla destra e pennella, il 10 che stira il suo esterno e bacia la rete. Ivan Kaviedes non aveva esultato subito però, aveva iniziato a toccarsi lì sotto, nelle parti basse. Senza sorprendere, sia chiaro: “Inseminator”, lo chiamavano così già prima dei tempi di Perugia, quando la sua prole non riconosciuta abitava più di mezzo Sudamerica. Aveva poi estratto un oggetto giallo dal pantaloncino, sistemandolo sul viso. Meravigliosa trasformazione. Allargava le braccia il giallo Uomo Ragno, non era più lui, nessuno sapeva chi fosse. Lo stava facendo in memoria dell'ex compagno Tenorio, punta soprannominata "Spider-Man", tragicamente defunta in un incidente stradale appena un anno prima dell'avventura in terra di vuvuzelas. Devoto tributo.

Ivan Kaviedes. Ora eccolo lì sbracciare sulle note di Kesha o Keita, francamente non me ne curo. Muove il bacino, ghigna immobile la sua maschera.

A seguirlo, abbracciato ma non ricambiato, come l'amico ubriaco davanti alla tipa che punti, un giocatore del Newcastle. Le strisce bianconere non mentono. Lo sento, canta stonato, ha un accento argentino, non può che essere Jonas Gutierrez.

Jonas Gutierrez tra i grattacieli ed i suoi tifosi.
La maschera è rossa per lui, come quel pomeriggio di FA Cup. Il motivo è più futile: una promessa ad un amico, una comune passione cinematografica, ed ecco l’esterno dei Magpies lanciare ragnatele verso il pubblico. Ora come ieri. Un attimo prima Peter Parker che galoppa e scava sotto la sfera, segnando un gol abbagliante in una grigia partita di coppa...quello dopo l'anonimo eroe senza volto ed indirizzo, con il codino ed un passo vagamente goffo. Allucinogeno potentissimo per il St James' Park. Passione stravagante. 

Avvolto in una bandiera argentina c'è un corpulento con una maschera simile a quella di Zorro, bicolore però: bianca e nera, con tre lettere rosse come punto focale. FFC, Fulham Football Club. L'ha appena estratta dal calzettone, è quella vista mille e mille volte nelle foto vintage sul comodino dei nonni. Finge di cavalcare un cavallo nel centro del bus, sbatte il palmo della mano destra sul fondoschiena e con l'altra impugna una spada che indica fissa l'orizzonte.

Sava e la sua maschera.
Direttamente dalle rive del Tamigi, dal Craven Cottage dei primi anni duemila, sto osservando il caballero Facundo Sava. Lo ricordo in un'intervista in cui raccontava di questa sua mania nata nel Gimnasia La Plata, quando ancora vagava nei calderoni d'oltreoceano. I suoi tifosi erano soliti lanciare maschere ai giocatori dopo ogni gol segnato. Dieci, trenta, duecento. L'estadio Juan Carmelo Zerillo totalmente sommerso dalla pioggia di stoffe e ricami. Supereroi sudamericani, il mito investito d'ulteriore foschia mistica.

L'occhio scende, il carro ha appena varcato l'ultima riga dell'area di rigore. Prosegue più lento che mai però, disperso nelle vette dei suoi eccessi. Un baccanale trionfante. L'autista sbuffa. Sta mangiando, anzi, divorando una gomma da masticare, sembra quasi voler frantumarsi la mandibola. Anche lui porta una maschera, come tutti d'altronde.

(continua nella seconda puntata...)

Maschera del Gimnasia La Plata.









  
 



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