Il Mogadishu Stadium prima del 2013 |
Scorcio interno con porta |
Il centrocampo |
Esisteva una foresta sconosciuta.
Rami che ostacolavano vista e cuore.
Armi che sostituivano fumogeni.
Il tremendo conflitto civile somalo appare ancora oggi sfocato, distante, senza tempo. Non ha appeal o, forse, è troppo complesso da decriptare.
Tasselli religiosi, signori della guerra, CIA. Enorme e segreto calderone di forze e fattori. Esecutori e torturati, assassini e vittime incolpevoli. Tutti senza volto.
Un luogo c'è. Il Mogadishu Stadium è stato per anni il malinconico riflesso d'una nazione scarnificata ed inerme.
Dal '91 l'oblio, il sole nascosto, i muri distrutti, i corpi crivellati.
L'occupazione militare |
Negazione d'umanità, negazione del futbol.
Uno degli stadi più belli dell'intero continente nero improvvisamente prestato non a tacchetti e maglie colorate, ma a mitra ed uniformi mimetiche. Vent'anni d'abbandono forzato, tra arbusti e sedie, desolazione e paura.
Paura. La stessa sensazione che attanagliava ogni ragazzino somalo durante il dominio delle forze islamiche capeggiate da Al-Shaabab. La pelota bandita perchè anti-religiosa, bambini messi al muro per un paio di palleggi, pronti a sfidare la morte per vedere quel cumulo di stracci sferico alzarsi in cielo.
Capre pascolano nella "foresta" |
Nel 2013, però, la speranza. L'Olimpico somalo viene ristrutturato, gusta di nuovo l'erba, quella curata e dipinta da linee bianche. Assapora la libertà di poter assistere a reti gonfiate, a cori trascinanti sulle tipiche melodie tribali.
Il Mogadishu Stadium come la Somalia, più della Somalia. Primo smeraldo in una foresta oscura, primo passo di riconquista in una terra inospitale.
Perchè il calcio muove popoli. Perchè il calcio segna strade da percorrere. Perchè il calcio dev'essere anche somalo.
Mogadishu Stadium oggi. |
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