Che volete che vi dica, amigos? Nel calcio non può mica esistere solo la giocata decisiva, l'armonia dell'assist vincente, la gioia liberatrice della rete segnata sul filo del fuorigioco. C'è molto, molto di più, e io sono l'ambasciatore delle verità scomode.
Chiamatemi come volete: per la mia gente, a casa mia, nei Paesi Baschi, ero “il gigante di Alonsotegi”, che è il posto dove sono nato. Incastonato in una verde vallata, poche anime, un solo santo protettore: il sottoscritto. Tutti gli altri, soprattutto quelle fichette britanniche, amavano dire che io fossi “il macellaio di Bilbao”. Vi confesso, sì, che quel soprannome non mi è mai dispiaciuto: il calcio è fatto di gente che corre e gente che rincorre, io sono sempre stato uno a cui piaceva appartenere alla seconda categoria, e che c'è di male?
Non ammirereste le meravigliose punizioni dei vostri beniamini, non esultereste per un'espulsione rimediata dall'avversario se non ci fossero quelli come me. Quelli per cui il calcio è bello con un po' di sangue, qualche frattura, un sano clima da corrida. I Quentin Tarantino del pallone, splatter e gran figli di puttana. Se chiedete a Schuster e a Diego, sì, quel Diego, vi risponderanno indignati. Tanto rumore per nulla, amigos.
Sono stati gesti spontanei , istintivi e geniali quanto un tunnel, una rabona, un doppio passo. E a voi sono piaciuti. Ammettetelo: quel Diego lì era forte, ma che palle quando un solo protagonista si prende il palco del mondo; non era una questione di gelosia, invidia, vanità. Volevo solo diventare il re dei cattivi, volevo offrire al pubblico un lato oscuro al quale affezionarsi, volevo dare di più a quelli che se ne stavano sugli spalti ad attendere la giocata decisiva. Io ho reso emozionanti anche i più scialbi zero a zero, credetemi. Il più odiato, questo volevo essere, o forse il più amato. Non avevo le idee ben chiare e dovreste sapere che spesso le due cose coincidono, no?
Probabilmente, e lo dico con fierezza ed orgoglio, ci sono riuscito. Anche se i giovani che hanno in mente i macellai di oggi non sanno nemmeno chi sono, colpa anche del mio nome difficile da pronunciare, già, ma che importa? Sono stato il re nei miei anni ottanta, cazzo. E tanto mi basta. Non sono esistiti solo Paolo Rossi, Cindy Lauper, "Ritorno al futuro" e i Paninari in quel decennio maledetto. C'ero anche io. L'ambasciatore delle verità scomode, il diplomatico del dolore con la divisa biancorossa dell'Athletic, la mia squadra, la mia famiglia, nutrita con la ferocia, con la fame, con quell'andare oltre, quel godere delle smorfie disgustate di chi pensava di venire ad assistere ad un balletto russo e invece si trovava spettatore di furiose lotte sanguinarie.
E ringraziatemi, o avreste sbadigliato e buttato i vostri soldi, maledendovi per non averli spesi con qualche puta con cui sciacquarvi l'anima, il sabato sera. Ringraziatemi e amatemi se proprio non riuscite a detestarmi, amigos, e ricordate che se non potete farvi amico il Dio del bene, allora dovrete cercare almeno di allearvi con il Diavolo.
Crack.
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