di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook CLICCA QUI)
Ho vinto, ho vinto ancora ma stavolta l'ho fatto in ancor più grande stile. Non mi venite a parlare di regole internazionali, signori. Io in Brasile ci sono venuto: mi sono fatto scatti, viaggi e un mucchio di seghe proprio come tutti i miei compagni, dal primo all'ultimo. E io non sono abituato a farmele, le seghe. Mi sono seduto in panchina e ho patito il caldo, tanto caldo, che passare da Dortmund al Brasile non è di certo uno scherzo. E dunque no, non parlatemi di regolamenti e stronzate: non ho giocato un minuto, ma questo mondiale è mio. Anzi, è più mio che di tutti gli altri.
Sì, perché in questo esercito fatto di soldati feroci e strateghi precisi da sembrare quasi robot, io sono la massima eccezione, il guizzo che riscalda la fredda armatura di un gruppo programmato per radere al suolo ogni avversario. Io sono l'eroe al contrario, la stonatura, la strada sbagliata.
A voi che ci odiate per la nostra efficienza, per la nostra meticolosa razionalità, perché non siamo giocolieri istrionici come voi, beh, cazzo... sono con voi! Odiateli, odiateli perché questi qui li odio anch'io. Il loro calcio programmato, il loro business, il loro marketing, la loro disciplina. Checche talentuose da kindergarten: io lancio kebab, deliziosi doner ripieni di salsa piccante, li lancio negli occhi dei miei fan, io regalo al mondo la mia urina, davanti agli sguardi increduli di chi è abituato a gente come Lahm, uno che sembra appena uscito da una cresima di provincia, e invece c'ha trent'anni e fa rabbia anche a me con quel sorriso da migliore amico del mondo intero.
Sono Kevin, deforme e spaventoso, uno che da sempre macina chilometri ai margini di ogni campo, di ogni strada. Dal Rot Weiss Ahlen al BVB, smorfie orrende e polmoni d'acciaio. Non di certo il più grande giocatore della storia, sì, ma questa coppa, che a guardarla da lontano sembra un enorme boccale di weissbier, l'ho vinta anch'io. E l'ho vinta anche per voi. Ai meccanismi perfetti della macchina da guerra teutonica ho opposto a testa alta il mio ghigno beffardo, il ghigno di uno che più che più un giocatore moderno pieno di muscoli e catenine al collo sembra il batterista di una vecchia band della DDR e credetemi se vi dico che per compiere imprese simili la mela marcia che accende i cuori e sposta gli equilibri, quello che va fuori schema e rompe il silenzio serve più di una giocata decisiva all'ultimo secondo. Il mio è un inno all'imperfezione: al militarismo di successo sono certo preferiate il mio scomodo anarchismo e poco importa se nessun almanacco riporterà il mio nome, domani. Io ero lì.
Il look di Kevin dopo la vittoria del Meisterschale nel 2011 |
Nessuno, sì, nessuno si ricorderà di me fra trent'anni, quando vi troverete a chiedervi se questa Germania sia stata una delle squadre più forti della Storia, non c'è dubbio. Ma io mi ricorderò di voi e di chi, rottinculo, ha pensato fosse il caso di tenermi lontano dal prato verde affinché non rischiassi di rovinare il quadretto perfetto in cui c'era posto solo per giovani rampanti e saggi veterani traboccanti di record e favole da raccontare ai nipotini. Bravi ragazzi e modelli da seguire, campioni dentro e fuori dal campo, bla bla bla, buuuurp!
Non vi dimenticherò, e con lo stesso ghigno con cui vi guardo oggi vi guarderò anche quel giorno, quando di me non resterà che il vago ricordo di un cognome strano e duro e io, brutto e malconcio, senza più nervo, senza più polmoni, nascosto fra centinaia di bottiglie di birra vuote, brinderò a me stesso, all'elemento di disturbo e all'anello debole, al buono, al brutto e al cattivo, all'alcoolizzato e al teppista, alla macchia nera, allo stridore punk. E ad occhi chiusi sussurrerò "campione del mondo, stronzetti".
Alla mia salute.
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