David O'Leary, allenatore dei Whites dal 1998 al 2002 |
Solitamente nel calcio siamo abituati a
distinguere due categorie di squadre: le grandi, quelle che vincono,
quelle che hanno sempre vinto,
quelle dove hanno giocato e giocano i fuoriclasse e... tutte le
altre. La categoria “tutte le altre” comprende davvero tutte
le altre, dal medio
professionismo al dilettantismo più aspro. Ci si potrebbe
accontentare di dividere il gioco in due emisferi, ma si
commetterebbe un grave errore: si perderebbe la magia. La magia
sprigionata dalle imprese di quelle realtà che emergono, che non
vincono mai ma
divertono, la magia di club travagliati che si trascinano dietro per
decenni debiti e fantasmi e scheletri nell'armadio e improvvisamente
vedono la luce grazie alle giocate di qualche fuorilegge del prato
verde o grazie al talento di nidiate di ragazzini terribili che
prendono a pallate quelli che, alla fine, vincono sempre.
Potrebbe essere la storia di
centinaia di club ma, soprattutto, è la storia del Leeds United.
Ancor di più è la storia del Leeds United di inizio millennio. Chi ama il calcio d'oltremanica non ha mai dimenticato il club che ha saputo ribaltare lo status quo del calcio britannico irrompendo sulla scena continentale e mietendo dietro di sé vittime illustri. Ma non solo. Il Leeds United ha incantato, sorpreso, scosso il pubblico europeo come nessun altro outsider del campionato inglese ha più saputo fare negli anni a venire. Prima che Chelsea e Manchester City diventassero Chelsea e Manchester City, a contendersi la terra d'Albione c'erano Manchester United, Liverpool, Arsenal. Un triumvirato inossidabile.
Ancor di più è la storia del Leeds United di inizio millennio. Chi ama il calcio d'oltremanica non ha mai dimenticato il club che ha saputo ribaltare lo status quo del calcio britannico irrompendo sulla scena continentale e mietendo dietro di sé vittime illustri. Ma non solo. Il Leeds United ha incantato, sorpreso, scosso il pubblico europeo come nessun altro outsider del campionato inglese ha più saputo fare negli anni a venire. Prima che Chelsea e Manchester City diventassero Chelsea e Manchester City, a contendersi la terra d'Albione c'erano Manchester United, Liverpool, Arsenal. Un triumvirato inossidabile.
O' Leary e i suoi ragazzi insidieranno “il
potere costituito” delle tre grandi d'Inghilterra: nel 1999/2000
arriveranno terzi, scalzando il Liverpool dal podio del campionato,
gettando le basi per una delle più straordinarie stagioni della sua
storia. In campionato non si ripeteranno, chiuderanno quarti, ma in
Champions League sfioreranno la finale, uscendo contro il Valencia.
La cronistoria degli eventi, però, non importa a nessuno: ciò che
conta è comprendere il Leeds. Il Leeds come metafora di calcio
romantico, ovviamente. Il Leeds come romanzo d'inquietudine, il Leeds
come affanno, gloria, depressione, eccentricità. Il Leeds indebitato
fino al collo, il Leeds come sogno mancato, il Leeds come il
giocattolo nuovo e scintillante che si rompe sul più bello. Il Leeds
delle teste calde. Il Leeds United che accarezza l'idea di dominare
l'Europa e, quindi, anche la propria Patria.
L'undici titolare che perderà 3-0 a Valencia nella semifinale di ritorno della Champions League 2000/2001 |
Ma
questo Leeds rimarrà anche una meravigliosa opera incompiuta. A
differenza di quello che negli anni settanta riuscì davvero a
vincere, trionfare, fare razzia in Inghilterra e nel continente. Un
quadro lasciato a metà, in soffitta, nella polvere. La favola dei
Peacocks non è propriamente una favola. E' tutt'altro, in realtà.
E' un “Davide e Golia” finito nel modo sbagliato. Sul campo ci
sono giocatori controversi, artisti e fabbri virtuosi più che
atleti, inglesi ma non solo, ragazzacci che con il pallone fra i
piedi scrivono la storia. Nei palazzi della società, però, c'è un
presidente che spende per rendere grande il suo United ma finisce per
indebitarlo e mandarlo a fondo. Manie di grandezza, cattiva gestione
delle risorse, incompetenza. Ritornello già sentito. Finisce che il
Leeds United sprofonda, lentamente, nella melma delle categorie
inferiori. Finisce che i Whites crollano nell'anonimato, salutano i
Viduka, i Kewell, i Rio Ferdinand, gli Alan Smith, i Bakke, i
Woodgate. Succede che, oltretutto, alcuni dei suoi gioielli finiscono
nelle gaudenti mani delle solite tre : i soldi servono come
l'ossigeno per salvare il salvabile, i talenti sono tanti, le
richieste anche. Muto rimanga il cuore. Ma non funziona comunque. I
Peacocks salutano la Premier League e l'Europa del calcio. Proprio
come negli anni ottanta, dopo i meravigliosi e vincenti anni
settanta. E' il destino di alcune di quelle squadre che non stanno
fra le grandi ma che, al pari, sono tutto fuorché anonima presenza:
ondeggiano fra la luce e l'oscurità, meravigliando le platee per poi
cadere vittime della propria vanità. Il prezzo per lesa maestà al
triangolo Manchester-Londra-Liverpool è l'inferno della
retrocessione, dell'indifferenza, del silenzio. Ancora una volta. La
cronistoria non cancellerà, però, ciò che il Leeds ha saputo
essere. Come un'araba fenice che dalle proprie ceneri si rigenera,
così lo United oggi tenta di risalire la china per riemergere, per respirare ancora l'aria dei grandi palcoscenici. Di
nuovo, come sempre, guardando al passato con malinconia ed orgoglio.
“Per aspera ad astra”, maledetto United.
Gian Maria Campedelli
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