Ci sono simboli che imprimono il calcio
nella mente degli uomini: oltre al pallone stesso, supremo
protagonista dello splendido gioco, oltre alle sofferenze e alle
gioie passate, alle reti vive nella memoria, oltre alle lacrime e ai
sorrisi, l'altro grande simbolo che sublima la bellezza e la
solennità del gioco è la maglia. Il motivo è semplice: essa, a
differenza del pallone, è il più visibile ed elementare oggetto di
distinzione.
Da bambini lo si nota subito, è la prima grande tappa
fondamentale dell'educazione alla cultura di base del calcio. Il
pallone, al contrario, è tesoro comune. Scorre sul campo, anch'esso terra di
tutti e di nessuno. Un secondo prima è tra i piedi degli uni, un
secondo dopo tra i piedi degli altri. La maglia, invece, no. La
maglia rimane, così come i colori, discriminante primaria: ci
insegnano che per giocare e vincere le partite dobbiamo collaborare
con i nostri compagni di squadra, e per collaborare dobbiamo passarci
la palla, quando è nostra. E fra di noi abbiamo tutti la stessa
divisa. Noi e gli altri. E' questo il primo passo verso il grande
amore per la maglia: è allo stesso tempo appartenenza individuale e
collettiva, il concreto mezzo attraverso il quale ci sentiamo parte
integrante di un tutto, avverso ad un altro tutto. Integrazione,
orgoglio, infantile ma puro cameratismo.Pelè esulta con Jairzinho: la divisa del Brasile al Mondiale del 1970 è stata votata dal Times nel 2007 come la più bella della storia. |
Passano gli anni e le cose cambiano, la
maglia rimane sempre discrimen primario, ma acquista anche un
ulteriore valore: quello puramente romantico, figlio del
sapore stesso del pallone. Il desiderio di ammirare, toccare,
possedere. Non più la nostra, non più quella che indossiamo
all'oratorio o al campo comunale, ma la maglia dei grandi, dei nostri
eroi, dei nostri idoli e, perché no, dei nostri nemici giurati. Assume il ruolo di trofeo, di inestimabile ricchezza affettiva, di vero e proprio sogno, rincorso giorno e notte. L'aura magica parte da qui, prima che si arrivi alla
fase in cui ci si infatua della bellezza dei dettagli o degli effetti
cromatici, nasce dal momento in cui essa è punto d'arrivo del nostro
sogno. Perché non esiste il nostro eroe senza scarpe, calzettoni al
ginocchio (eccezion fatta per tutti i Sivori, veri o presunti, della
storia), calzoncini e, specialmente, maglia da gioco.
Chi sta fuori dal campo non è più Ronaldo, non è più Maradona,
non è più Zico. E' un uomo qualunque. Ciò che conta è quel che
accade dentro al rettangolo di gioco, ed ecco allora che glorie e
disgrazie si legano indissolubilmente alla lana, al cotone o alle
fibre sintetiche moderne per le quali palpitiamo di settimana in
settimana.
Si arriva, in un secondo momento e con notevoli differenze da
individuo ad individuo, a rincorrere la maglia come oggetto di culto,
pezzo di storia, feticcio di un irrazionale amore. Si apprezzano le
differenze, le curiosità, le novità. Si criticano le scelte degli
sponsor, gli avventati rischi degli stessi che si mettono contro la
tradizione, la storia. Nonostante gli anni che passano, i punti di
vista che mutano, il mondo del calcio che si rovescia, la maglia
rimane perno attorno al quale ruota tutto il resto. Impossibile
pensare un calcio senza maglie. Esse nascono assieme all'essenza
stessa del gioco e vi partecipano senza sosta alcuna, da una parte e
dall'altra della barricata.
La maglia segna l'inizio di una nuova
stagione, è spesso il primo elemento d'attrazione durante l'estate,
ancor più del calciomercato. Diventa compagna di mesi
interi di travagli e viaggi e reti e grandi bevute, conservando
(quasi) sempre i segni incancellabili del passato, misti talvolta a discutibili decisioni pubblicitarie o ad innovazioni estemporanee. La maglia è segno distintivo inconfondibile, in tutto il mondo (o almeno nella parte di mondo che ci interessa veramente). Si
sporca, si strappa, viene lanciata a terra o oltre le recinzioni.
Diventa il tramite per eccellenza fra il popolo di chi ama e il
popolo di chi deve difendere questo amore in campo, giocando e
lottando per i colori che ci fanno perdere la testa. La maglia è
testimone, legame eterno che va oltre le persone, oltre le
generazioni. Essa entra nella storia, passa ma in realtà non viene
cancellata, è nel presente ma presto lo trascenderà.
E' arduo, infine, il tentativo di rimanere
indifferenti all'evoluzione delle maglie durante i decenni. Chi vive
dell'essenza del gioco non può che rimpiangere i tempi in cui essa
era sentita come simbolo vero di appartenenza non solo dai tifosi ma
anche da società e giocatori; negli ultimi tempi si è assistito ad
un processo inesorabile nel quale il valore sublime della divisa è
stato accantonato per logiche commerciali o, addirittura, umiliato da
sdegnosi gesti di calciatori senza rispetto alcuno per il fondamento
essenziale del gioco: l'appartenenza. Vivace, vulcanica, profonda,
rabbiosa appartenenza. La maglia, per alcuni, sembra essere divenuta
un semplice spazio pubblicitario da riempire, per altri, invece, una
stagionale assicurazione per il proprio conto in banca.
La divisa dell'Arsenal 2005-2006: in onore dell'ultimo anno di vita di Highbury, i Gunners si tuffano nel passato. La maglia è inserita al 23esimo posto nella classifica del Times. |
C'è anche chi, però, accovacciato sul
trespolo solitario riservato a quelli che non demordono e continuano a
sognare, assapora sfiorando con la mente tutti i tessuti di tutte le
maglie che hanno solcato i campi dall'inizio di tutto, dal primo
pallone calciato: chiudendo gli occhi gli sembra quasi di gustarne
l'anima. Sporche di terra e fango, sudate, strappate, sbiadite, ma
vive. Anziane savie che tengono per mano il Meraviglioso Gioco, vecchio distratto senza
più memoria per ciò che fu.
Gian Maria Campedelli
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Ispirati agli indimenticabili momenti salienti della storia del club, le maglie combinano moda e vintage per rendere omaggio ai risultati del club.
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