"Ecco il sole del mattino splendere sopra l'oro e l'argento di questa terra,
Tremila leghe piene di ricchezze naturali.
Mia bella patria.
La gloria di un popolo saggio
Cresciuto in una brillante cultura
Con una storia lunga cinque millenni.
Indirizziamo devotamente i nostri corpi e menti
Per supportare in eterno questa Corea."
L'Achimun Pinnara. L'inno della mia nazione, della mia terra, dei miei avi, mio. Stringo forte i guantoni. 54331...54331 persone in piedi, in silenzio, rispettose. Come ci sono arrivato qui? Sono un signor nessuno. Eppure sotto la felpa sento, percepisco a malapena il numero stampato, il mio nome. Ri Myong-Guk, si, il portiere del Pyongyang City. Mi conoscete? Avete mai visto qualche mio intervento? Sto sudando, sto tremando.
I bambini davanti a me non ci guardano. Conosco quell'espressione. Ce l'ho anch'io, solitamente, quando passo sotto il Ryugyong hotel. Faccio finta di non notare quella gru all'estremità, ferma da vent'anni, come un picchio che non riesce a scalfire il legno, come un messaggio di magnificenza stantio nell'apice della capitale. Miro altrove, il Palazzo del sole di Kamusan, la casa del Leader. Anche i ragazzi che stendono la nostra bandiera sono fissi verso i loro eroi, verso i campioni "veri", quelli dall'altro lato. Mi volto anch'io, per un istante. Julio Cesar non sta stringendo i pugni, mastica semplicemente un chewing-gum. Capello sistemato, fisico scultoreo, espressione spensierata. Scalcia il vuoto roteando il collo, saluta qualcuno sugli spalti, sorride. Ma come fa? Come può?
I nordcoreani all'esordio in Sudafrica, durante l'inno |
Chissà quanto lo pagano per giocare. Chissà se ha un altro lavoro. Chissà quanto si allena. Vorrei che si girasse, che mi guardasse. So che è forte, molto forte e che gioca in Europa. L'ho visto più volte ieri in tv che in tutta la mia vita. Di me neppure l'ombra. Desidero, quasi irrazionalmente, i suoi complimenti per il mio miracolo contro l'Arabia Saudita. Sicuramente avrà visto quel mio intervento, la mia mano distesa sulla sinistra a cercare l'infinito, ad indicarci la via verso il Sud Africa. Niente. Nessuna risposta.
"Glorifichiamo in eterno questa Corea,
Illimitatamente ricca e forte."
54331. Ma cosa sapranno? Siamo i soli a cantare l'inno: nello stadio e nel mondo. A casa nessuno ci guarda, nessuno ci tifa. Parenti, amici, connazionali. Brancolano tutti nella completa ignoranza. Noi non siamo a Pyongyang, siamo ai Mondiali, punto. Sarà il regime a mostrare le partite, se lo riterrà opportuno. Già perchè il calcio a casa nostra non è uno spettacolo. Lo definirei più come un atto di propaganda. Il Leader l'ottimizza così, per il nostro bene. Ci ha sempre detto di non parlare a nessuno delle nostre sconfitte, per la gioia comune.
L'undici che sconfisse l'Italia nel '66 |
L'allenatore Kim Jong-Hun |
Il mister è l'unico a degnarci d'attenzione. Ci scruta in piedi, rigido. Mi ricorda il Leader. Ieri tutti i giornali parlavano del nostro ct. Sarà stato a causa della conferenza stampa. Io ero in disparte, ad ascoltarlo. Quante differenze tra il suo volto tirato, inespressivo e quello di Dunga, rilassato, luminoso. Tutte domande politiche, come se fossimo un Paese, una squadra diversa dalle altre. Il caro Leader ci ha messo in guardia dai giornalisti anti regime, ci ha ordinato di non ascoltare le voci di coloro che non vivono nella nostra Repubblica Popolare Democratica, di non cadere nei loro sporchi tranelli. Vogliono boicottarci, vogliono solo gettare fango sulla nostra nazione. Noi siamo i migliori.
" Korea, Korea, Korea!". Ma cos'è questo coro? È per noi, ci tifano. Ah già. Ce l'aveva detto ieri Chol Yok. Il leader ha pagato mille cinesi affinchè venissero a sostenerci, fingendo d'essere coreani. Perchè non ha pagato il viaggio a mille connazionali veri? Mah.
Jong Tae-Se in lacrime |
L'ultima nota è suonata. Vado ad abbracciarlo, si sta ancora portando la maglietta sugli occhi.
"Lo so Tae-Se. Versa le tue lacrime su questa bandiera. Siamo fortunati ad essere discepoli del Leader e del monte Baekdu. Sii grato, sfogati."
Ma lui non ricambia, mi fissa stranito. Le sue parole mi colpiscono, sferzanti, irriverenti. Sono frecce che centrano dritto il mio cuore e la mia mente. Sensazione d'appiattimento, d'assenza di riferimenti, d'incredulità.
Cartellone di scherno esposto durante la gara |
Ma che dice? Sento il cuore che batte all'impazzata. Della partita che devo giocare quasi non ho ricordo. Falsità, tutte falsità. Però, a pensarci bene...qui in Sud Africa è tutto diverso, eppure non è nemmeno l'Italia, la Germania, la Francia. Già questo sembra il Paradiso. Il lavoro è concepito diversamente, i calciatori sono idolatrati e pagati. Ci sono i computer, c'è internet. Poi i ristoranti. La cena di ieri in hotel è stata fantastica. Di tre portate, tre! Ascoltano il pensiero di tutti, ho visto Mandela, neanche sapevo chi fosse. Che sia questa la vera democrazia?
Fischio d'inizio. Il mio completo è diverso da quello di Julio Cesar. Estremi opposti. Ho i pantaloni lunghi tra i pali, come sempre, fin da piccolo. Non me ne hanno mai dati di diversi. I guantoni sono consumati, nessuno di noi ha dei capelli particolari. Sembriamo tutti uguali, un unico ammasso rosso di banalità. Tutti fanno le stesse cose in campo, dal terzino alla punta. Non siamo come loro. Giocano, si divertono, fanno i numeri. Non hanno peso sulle spalle, non sanno cosa voglia dire veramente rappresentare una nazione.Ostenatano le loro iniziali ricamate sulle scarpe, quasi non potessero fare a meno d'apparire unici, diversi dagli altri. Una squadra d'individualità. Collettivo d'egoismo. Mancanza d'umiltà che non può portare ad altro che una vita sconclusionata.
Tae-Se si sta lamentando con il guardalinee, poi con l'arbitro. L'unico dei nostri. Borioso. Lo sapevo. Ma cosa mi ha messo in testa quel viziato? Abbasso il volto. Come ho potuto anche solo pensare certe cose? Ora ho capito, è solo un destabilizzatore mandato dal Giappone. Non è dei nostri. Vuole solo inculcare strane idee nelle menti di noi tutti. Ecco perchè il Leader inizialmente non voleva concedergli la nazionalità. Anche questa volta non si era sbagliato.
Mi riprendo, colpisco forte le guance. Che bella la nostra bandiera, che belle le nostre divise rosse che irradiano il campo. Siamo un battaglione. Difendiamoci amici, difendiamoci soldati. Come sempre, noi siamo nordcoreani, siamo tutti fratelli e figli del Leader. Non siamo banali, siamo ciò che rappresentiamo. Difendiamoci dal nemico, non abbassiamo la testa.
"Hai capito Tae-Se?"
"Che vuoi?"
"Non parlare con arbitro a guardalinee. Noi siamo la Corea del Nord, non siamo i tuoi amici giapponesi, tienilo bene a mente. E vedi di sputare sangue, di lottare per questa maglia, per questi colori. Devi dare tutto per la nostra nazione, hai capito? Altrimenti sarò io a farti piangere di fronte al leader."
il miracolo di Ri Myong-Guk che regalò il Sud Africa ai nordcoreani (minuto 08.47)
le lacrime di Jong Tae-Se durante l'inno coreano
Gianmarco Pacione
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Qui, sotto il capitalismo, la propaganda è tale che persino i cantanti famosi non sono quelli più talentuosi ma quelli che vengono scelti per fare da modelli di comportamento.
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