di Gianmarco Pacione (per seguirci su Facebook clicca qui)
L'Alessandria dei primissimi anni '20, Ticozzelli secondo da destra |
La mano che lascia il manubrio per sfiorare la tasca cucita
sopra il cuore. Un tocco fugace, rassicurante. È lì, non si è mossa, neppure in
mezzo a quei grotteschi boati. Ultimo appiglio vitale. La piccola agenda è
immobile, rintanata nella verde stoffa. Poche pagine, fitte d’emozioni, di
speranze.
Pestano sui pedali i pesanti scarponi. La penna sul capo
pare fischiettare a contatto con il vento, il fucile rimbalza sulla schiena,
insicuro. Paolo Bocchio corre, per la prima volta dopo anni, verso la vittoria.
Al suo fianco il Piave fluisce potente, fragoroso, italiano.
D’un tratto ecco il manubrio ciondolare irrispettoso. La
ghiaia che saluta il volto, abbracciandolo stringendo un involontario patto di
sangue. Lo sciame di bici prosegue, non curante. È una marcia verso la
terra promessa, una lunga cavalcata patriottica. Il coronamento di dieci
giorni, di anni di battaglia, di sudore, di trincea.
“Dai Paolin, non vorrai restare dietro proprio l’ultima
tappa eh!”. Voce conosciuta. Il tenente Carlo Sabatini, anche lui di
Alessandria, anche lui figlio di “genitori impropri”: la ruota, il pallone.
Quante ore a discutere di quelle due religioni tra terriccio e filo spinato,
quanti attimi volti al ricordo di gesta eroiche neppure viste, solamente
raccontate. “Guarda che ti si è aperto il taschino, hai tutte le tue cartacce
per terra.”.