di Gianmarco Pacione (clicca qui per la seconda puntata)
per dare un occhio alla quinta stanza invece clicca QUI
Lo "scorpione" del loco Higuita |
Il rimbombo continua, pesante ed intoccabile. Ogni pallonata
di Vargas scandisce i miei passi. Cadono dei detriti dall’alto, non riescono a
reggere la violenza del tremendo mancino. Come neve si appoggiano sui miei
capelli. Chiudo gli occhi ed in un rapido turbinio di ricci riesco a scrollarmi
di dosso la polvere.
Caricatura del "loco" René |
Una luce d’emergenza si accende e spegne in continuazione. Penso
a Jorge Valdivia, strano brainstorming. Il campanello richiama l’attenzione
lanciando l’allarme a squarciagola. È una struttura fatiscente quella del
dottor Escobar, curata in modo
superficiale. Chissà come si sentiranno i campioni rinchiusi qui, abituati ai
migliori centri d’allenamento, all’onnipresente cura dei particolari, alle
macchine perfette plasmate da proprietari multimilionari.
In lontananza aumenta l’eco di goffi movimenti, di ordini
lanciati con durezza. Poi ecco irrompere quattro dottori, i camici parlano
chiaro, sono veri. In mezzo a loro, ammanettata, una foltissima chioma ondosa. Rapido
cancan di bruschi istanti: i medici che, con forza, trascinano il paziente
apparentemente privo di sensi; passano uno, due secondi ed il paziente si
rianima improvvisamente. Urla, spinta, calci. Folle coreografia.
Higuita e Klinsmann |
L’uomo ammanettato prova in tutti i modi a liberarsi. Tentativo vacuo. Il mare in tempesta della sua chioma si ferma per un
istante, lasciando spazio alla quiete ed alla visione. Le labbra carnose, il
baffo foltissimo. Maglia a maniche lunghe che termina in un connubio di manette
e guantoni. Si, guantoni da portiere. È lui, impossibile sbagliarsi. È René
Higuita.
Senza chiedere nulla, nemmeno uno scambio di sguardi, Escobar
mi lancia da pochi passi la terza cartellina. Poi corre ad aiutare i suoi
colleghi, in quella che tutto pare meno che una scena pacifica.
Higuita è seduto a terra, non si alza, non lo alzano. Un corpo
potente, tozzo ma esplosivo, spinto sempre da un fuoco interiore senza
precedenti e successori.
La divisa che indossa è indimenticabile. Mondiali 1990, la
Colombia magica. Di quella mistica formazione proprio Higuita fu simbolo e boia
allo stesso tempo. Leggo.
“Higuita René, 175 centimetri per 80 chili. Nato a Medellìn
il 26 agosto 1966. Ricoverato cinque volte. Paziente da codice rosso.”.
Dati stridenti e freddi, colpi amari alla mia memoria.
Higuita con la maglia della nazionale |
Higuita è stato ed è la Colombia. Tutte le contraddizioni di
uno Stato sempre pronto a scardinare qualsiasi limite. Ad allevarlo c’ha
pensato la tremenda periferia, basta osservarlo. Il più sincero dei sorrisi è
comunque ombreggiato da anni di carenze affettive e monetarie. L’unica casa in
cui poter stare tranquilli era quella formata da tre montanti, logori,
arrugginiti.
Casa con un padrone preciso. Un benefattore per molti, il re
dei narcotrafficanti per altri. La cancha dove il giovane René volava per
raccogliere il pallone tra le mani era del re di Medellìn. Sua, come ogni altro
singolo sporco metro della città.
Pablo Escobar, solo omonimo del dottore che sta cercando
goffamente di cingere il collo del paziente, per tutti l’unico e solo
dominatore della droga e del crimine tra gli anni ’70 ed ’80. I tornei indetti
dal maestro dell’illegalità furono un primo passo per far conoscere i due. Il carisma
tra i pali di Renè affascinava fin dalle prime partite. Poco importava dei gol
subiti, della forse eccessiva teatralità. L’intervento spettacolare, il dribbling sull’ingenuo
attaccante in pressione, il repentino modo d'alzarsi dopo un intervento quasi a voler proclamare la proprio invincibilità.
Catalizzante, innovativo.
Amicizie pericolose. Paese pericoloso. Legami che si
ripercuotono, pesanti, sulla vita del portiere di Medellìn. C’è tempo per tutto
però. Tempo per una carriera più che dignitosa, tempo per creare mode sul
campo, per tratteggiare momenti indimenticabili per l'universo della pelota.
54 reti segnate, si, segnate. Chiedete pure a Rogerio Ceni chi sia una della sue maggiori fonti d’ispirazione. Piede fatato, destro a
giro, profondo conoscitore dei calci piazzati.
Atletico Nacional dell'89, Higuita in alto a destra |
Gli anni migliori con la maglia proprio della sua città. Quell’Atletico
Nacional controllato dal padron Escobar. Squadra impressionante,
capace nell’89 di vincere la prima Libertadores avendo in rosa solo giocatori
colombiani.
“Callate, callate!”. La chioma ricciola è tornata a farsi
largo tra i camici, cercando una disperata via d’uscita. Con lei si muove una
collana, tenuta larga da Higuita sul possente collo.
È caratterizzata da un piccolo oggetto, sgrano gli occhi. Un
animale incastonato in una pietra preziosa. Ma cos’è? Quella coda, ma certo. Uno
scorpione! Come ho potuto anche solo pensarci. El loco Higuita, fondatore della
mossa dello “scorpione”. Una creazione artistica, un movimento impensabile in
qualsiasi rettangolo di gioco.
Il fatale dribbling di Higuita a Milla.. |
Arriva un sesto dottore, dimesso, con gli occhialini appoggiati sul
petto. Osserva, ride, prende appunti. Ho capito, bentornato “dottor” Bielsa, è
da un po’ che non ci si vede. L’allenatore cammuffato d’un tratto inizia ad
inveire sul portiere, non curante della situazione in cui si è catapultato. “Ma
come si fa? Te non sei un portiere, sei solo un giocoliere! Ricordo come se
fosse ieri la cazzata fatta contro il Camerun, nei mondiali d’Italia. Ti avrei
mangiato la testa se fossi stato il tuo allenatore. Un dribbling a centrocampo,
con Roger Milla davanti a te? Sei pazzo caro mio, sei veramente pazzo.”.
..e la seguente rincorsa senza esiti |
Gli occhi di Higuita non s’incontrano mai con quelli di
Bielsa. Fieri, orgogliosi, guardano la porta spalancata della stanza numero 3. Ripensa,
probabilmente, ai veri errori di una vita “colombiana” in tutto e per tutto: i 7 mesi scontati in carcere per aver svolto un
ruolo poco chiaro nelle dinamiche di un rapimento, le amicizie nella malavita,
la squalifica per uso di cocaina nel 2004.
Bielsa viene verso di me, ha un disperato bisogno d’essere
ascoltato, esce di testa dinanzi alla sola idea che qualcuno non dia la giusta
attenzione ad un suo rimprovero. “Italiano! Lo vede questo? È la rovina del
calcio, della tattica!”. Annuisco, imbarazzato, passo in rassegna gli sguardi increduli, persi nel vuoto dei vari dottori. Improvvisamente, d’impeto, ecco il mister argentino
scagliare veementemente il blocchetto degli appunti, mirando al folto baffo e
alle labbra carnose.
Impercettibile volontà del fato.
Un altro perfetto "scorpione" del portiere colombiano |
Le manette restano basse, unite con i guantoni a fissare un
punto preciso del suolo. La testa le segue, per un istante. Il tempo d’inarcare
la schiena e di lasciare il libero colpo di frusta alle gambe piegate a mezz’aria.
Eccolo, lo scorpione. Una smorfia, misto tra gioia e fatica. Ogni singola
parola scritta da Bielsa viene rispedita davanti agli occhi dell’allenatore,
violentemente, precisamente. Colpito in piena fronte. “Non ci credo, non ci
credo, devo tornare a prendere appunti, tutto questo non può essere vero.”.
Ride René, totalmente compiaciuto del suo genio. “Toglietemi
le manette, giuro che entro con calma nella stanza.”. Voce profonda,
convincente, impossibile da smentire. Il dottor Escobar, come ipnotizzato,
inserisce le chiavi e libera i guantoni. “Ehi, fenomeno!”, si appella così ad
un dolorante Bielsa il numero 1 colombiano. Stizzita arriva l’occhiataccia dell’allenatore,
ma ecco Higuita spalancare le braccia, come quella sera di settembre nel 1995. Il
primo scorpione, davanti ad un tempio completamente incantato. Wembley meravigliato
dalla prodezza di un folle.
Il folle René nei panni d'uno sceicco |
Dopo un iniziale scatto di paura i medici restano incantati
da quella figura, proprio come me. Il carisma, la personalità. Le braccia
spalancate, pronte al volo, al balzo verso l’ennesimo intervento per i
fotografi. Le braccia spalancate, a ricordare, indelebilmente, il più potente airone colombiano.
Higuita varca la soglia della stanza numero 3. È tutto
finito. Anzi, è tutto pronto per un nuovo inizio. Gli schiamazzi sono ora
rimpiazzati dal continuo vociare televisivo. Non capisco. Chissà cosa mi attende dietro l’angolo.
Il tempo per voltarmi e per dare un ultimo sguardo a quella cascata di baffi,
capelli e pazzia.
“Tunf”. Ho calciato qualcosa, mi chino. Un piccolo
sacchetto, contiene della polvere bianca. René, René…
Higuita dietro le sbarre nel '93 |
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