Frenetica sacralità in casa Rodriguez. Spruzzi di fragranze,
lotta interminabile tra tanti, troppi vestiti ed un unico, bellissimo corpo. “Date
prisa Avelina!”. A parlare è Andoni, pescatore dalla voce profonda. Bussa ripetutamente
su quella porta che, in pochi istanti, nasconde l’intera vita di una giovane neska. Le mani ruvide, forgiate da canne ed ami, che picchiano bonarie sul
più dolce dei riti.
Passano i minuti. Poi il ciliegio si muove, assieme
all’insicuro pomello. I capelli scuri raccolti da un piccolo laccio di cuoio.
Una gonna lunga, ocra, a separare, quasi come un sipario, quel bagliore trascendentale.
Il silenzio di un padre orgoglioso, contemplatore. Un paio di scalini ed ecco
le ruvide mani tirare per dieci volte un orecchio. Il piccolo Iker si contorce
divertito. È il 21 agosto 1912. “Feliz cumpleaños cabezon”. Manca poco più di
un’ora alle 15.00. Nella etxe numero 12 della via intitolata a Don Diego Lopez
sono tutti pronti per fondersi con il bianco e il rosso.
vista del parco Dona Casilda |
Il sole basco pare investire, eleggere a sua compagna, solo
una delle tre frettolose figure vestite a festa. I Rodriguez camminano tra gli
alberi del parco Doña Casilda Iturrizar. Eppure, ad irradiare l’intero distretto di
Abando, bastano due gambe candide, caste, timide. Avelina non parla con i suoi
accompagnatori. Non ricambia chi l’osserva, chi fischia al passaggio di quelle
fini spalle tanto simili alle lucenti punte di una stella. Non riserva rancore
o rabbia. La sua mente è forzatamente limitata dalla spasmodica attesa
dell’incontro, dal giubilo del desiderio. Non c’è spazio per altro in quella
testa, in quel cuore.
Un sospiro. Un pensiero. Quel completo caratterizzato dal
rojoblanco. Quel completo più piccolo degli altri. 154 centimetri di goffo amore.
Il suo eroe dalle rapide movenze contro gl’imbattibili titani. Il “Pichichi”,
il piccino. Per Avelina l’Atletic Club de Bilbao ha un solo nome, un solo
volto, un solo passo. È quello di Rafael Moreno Aranzadi.
È trascorso più di un anno ormai dall’inizio di questo dolce
calvario. L’esordio del diciottenne Rafael aveva coinciso sia con la prima rete
siglata che con il primo scambio di sguardi con la dolce figlia di Andoni. Era
successo tutto rapidamente, forse troppo. Quel giovane uomo, dalle sembianze di
un bambino, lanciato in mezzo alla mischia tra gli sguardi increduli di
migliaia di Lehoiak, abituati sempre più ad attaccanti di peso, a rudi combattenti
più che giocatori. Le prime risate, le prime battute.
Gol. Un lampo. Erano bastati tre dribbling, tre birilli
saltati macinando campo morbosamente, con una forza invisibile. Il portiere a
terra, incolpevole, irritato. Un mingherlino alle sue spalle con le braccia
alte ed il pallone in mano. Le risate tramutate da un piattone sul primo palo
in scroscianti applausi, in quel tipico mormorio di meravigliosa scoperta. Ed
eccolo Rafael alzare i suoi grandi occhi neri, accompagnati dalle generose
sopracciglia. A pochi passi da lui Avelina, con i pugni stretti. Li aveva
pigiati contro il petto, con la stessa forza, dal suo ingresso in campo.
Pupille, anime a confronto. Un secondo. L’eterno.
Le squadre in campo. Non servono più i ricordi ad Avelina.
La mente ritorna viva, estasiata. Una staccionata a dividerla dal suo segreto
Paradiso dalla finta elegante, dal tiro micidiale.
Oltre il precario steccato, con le mani sui fianchi ed il
solito impacciato sorriso, colui che sarà il più grande goleador nella storia
del calcio spagnolo. Tanto coraggioso su quel prato verde quanto ostacolato dai
suoi difetti appena dopo il fischio finale. Per un anno aveva contemplato
quell’angelo in prima fila, per un anno aveva cercato anche solo il minimo
contatto.
Inspiegabile risulta la mania di cingersi la testa con un panno bianco. In plaza España si vocifera lo faccia per tenere ben fisso l’obiettivo più nobile: la bianca sfera che allarga le stringhe del cotone legato ai pali di legno, il popolo dei leoni che ruggisce, l’ennesimo gol. Rafael però non si colora di chiaro il capo per questo. Lo fa per avvicinarsi a quella sconosciuta, al nobile tratto con cui è stata dipinta quella pelle ispiratrice. Lo fa per distinguersi dagli altri, per farsi seguire da quegli occhi apparentemente incolmabili in mezzo ai ragazzotti che lo inseguono per intere partite. Tiene salda la pezza con un nodo stretto, quasi quanto quelli di Andoni, per non far fuggire dalla sua memoria quel primo, indimenticabile sguardo.
Inspiegabile risulta la mania di cingersi la testa con un panno bianco. In plaza España si vocifera lo faccia per tenere ben fisso l’obiettivo più nobile: la bianca sfera che allarga le stringhe del cotone legato ai pali di legno, il popolo dei leoni che ruggisce, l’ennesimo gol. Rafael però non si colora di chiaro il capo per questo. Lo fa per avvicinarsi a quella sconosciuta, al nobile tratto con cui è stata dipinta quella pelle ispiratrice. Lo fa per distinguersi dagli altri, per farsi seguire da quegli occhi apparentemente incolmabili in mezzo ai ragazzotti che lo inseguono per intere partite. Tiene salda la pezza con un nodo stretto, quasi quanto quelli di Andoni, per non far fuggire dalla sua memoria quel primo, indimenticabile sguardo.
Segna tre gol in poco più di mezz’ora il “Pichichi”, anche
questa volta. Li segna per Avelina. Poi l’intervallo. I giocatori si siedono arrossati, parlottano
attendendo un cenno. Rafael slega il panno, lo lancia a terra tra i volti dubbiosi
dei suoi compagni. Non riflette. È un fiume in piena, come sempre su quel
campo, spinto dalle corte e potenti gambe che per tante, tantissime volte lo
accompagneranno allo schiocco finale della segnatura. Guarda fisso davanti a
lui la gonna ocra, quei due occhi che per un anno l’avevano spinto a
migliorarsi. Mentre salta la staccionata, Rafael Moreno Aranzadi ha già capito
che riuscirà a colmarli.
Riuscirà a farlo per ben 200 volte in 170 partite. Il modo è
sempre lo stesso. La palla che s’insacca, gli occhi che s’intrecciano, accostamento
vitale.
Una storia che ottiene la più alta delle onorificenze. Legame
leggendario che verrà consacrato in un modo unico il giorno dell’undicesima
tirata d’orecchie del piccolo Iker. Una celebrazione che vale più di qualsiasi
matrimonio. La Catedral, il San Mames, secondo stadio più antico di Spagna e,
senza dubbio, il più sacrale, viene inaugurato dall’ennesimo gol del “Pichici”,
dall’ennesima alzata di sopracciglio, dall’ennessima conferma dei suoi
sentimenti. Davanti a quarantamila baschi mai completamente innamorati di
quella minuta divinità, del “rey del shoot”, che entrerà nel sangre bilbaino solo dopo l'ultima rete gonfiata, a soli ventisette anni, in quel monumento vivente progettato da Manuel Maria Smith.
Aurelio Arteta-"Idilio en los campos de sport" 1922 |
Mito che funge da musa ispiratrice anche per il compaesano pittore
Aurelio Arteta, nel 1922. Un idillio che però non viene descritto nella sua completezza
dall’abile pennello d'influenza impressionista. Gli occhi di Avelina, che tanto stregarono
il ridotto tuttofare offensivo, mancano all’appello, quasi premonitori.
Iker attende le ruvide e benevoli mani. È il suo ventesimo
compleanno. Un’attesa vana. Andoni è a qualche scalino di distanza. Sfiora il
pomello, accarezza il ciliegio. Vorrebbe unire le sue lacrime a quelle di
Avelina. A pochi metri le lucenti punte di stella sono irriconoscibili. I pugni
questa volta tengono stretti due fogli di giornale. In uno campeggia una
gigantografia del “coraggioso Aranzadi” in camiseta roja. Viene descritta in
pompa magna l’impresa delle furie rosse, la medaglia d’argento nelle Olimpiadi
del 1920 ad Anversa. Nell’altro, delle scritte stropicciate, quasi illeggibili.
Il suo Rafael è morto da tre mesi. Il tifo l’ha portato via non ancora trentenne. Strana e tragica fine per un dio della pelota.
i leoni di Bilbao, al centro il "Pichichi" |
Un pianto ininterrotto che diventa lentamente un inno. Ad
ogni lacrima Avelina associa uno sguardo, una rete del suo amato. Le coppe di
Spagna vinte dal 1914 al 1916 e nel ’21. I dieci anni di puro dominio basco. I
cinque campionati comandati tra il ’13 e il ’16 e tra il ’19 e il ’21. Un’altra
lacrima, un altro gol, un altro sguardo sotto il copricapo bianco. La figlia di
Andoni sa di non poter dimenticare quelle emozioni, spera non lo facciano anche
gli altri.
Nel 1929 Paco Bienzobas, con la sua Real Sociedad, segna più
gol di tutti nella Primera Division. Alza per la prima volta il trofeo “Pichichi”. A pochi metri una vedova che nasconde con un sorriso un'infinità di sensazioni. La gonna ocra ad accompagnarla.
Oggi Messi e Ronaldo si contendono lo stesso premio a colpi di giocate. Fuori dal San Mames troneggia un minuto busto “omaggio ad un esempio ed ad una leggenda di questo club”. Tradizione vuole che ogni squadra ospitata per la prima volta lo saluti con un mazzo di fiori. Avelina sarà contenta. Non solo le sue lacrime, anche l'incancellabile libro della storia del calcio renderà per sempre omaggio al suo piccolo, inesauribile amore. Lo farà nel più importante dei capitoli, quello dedicato ai re di questa magica disciplina.
Oggi Messi e Ronaldo si contendono lo stesso premio a colpi di giocate. Fuori dal San Mames troneggia un minuto busto “omaggio ad un esempio ed ad una leggenda di questo club”. Tradizione vuole che ogni squadra ospitata per la prima volta lo saluti con un mazzo di fiori. Avelina sarà contenta. Non solo le sue lacrime, anche l'incancellabile libro della storia del calcio renderà per sempre omaggio al suo piccolo, inesauribile amore. Lo farà nel più importante dei capitoli, quello dedicato ai re di questa magica disciplina.
Raùl ed Iraola onorano il "Pichichi" |
Complimenti, bellissimo modo di raccontare una grande storia. Saluti biancorossi!
RispondiElimina