striscione esposto dai ragazzi della curva ovest per il loro beniamino |
“Lupi, lupi, lupi!”. Il boato del San Vito sparge tensione e
carica agonistica in tutti i dintorni. “Nù normale e un’ per u’ figghiolu,
grazie.”. “Quanti anni ha il bambino?”. “Tredici!” risponde una voce
squillante. “Tredici ha detto. Mo’ dacc’ il biglietto ca inizia.” Francesco
prende il biglietto dalle mani del padre. Intorno a loro il sole splende senza
sosta. Novembre ’86. Tutto è dipinto di rossoblu. Posto 37, settore F,
distinti. Coordinate onnipotenti, acquolina che cresce. Posto occupato. Un
ragazzo a petto nudo, coperto solo da una sciarpa di lana pesantissima. Gli
opposti della passione. Su di essa capeggia la scritta “Alè Cosenza”. “Ja
Ciccio, mettiamoci qua.”. Francesco viene cinto dalle braccia dal padre proprio
al momento dell’ingresso delle squadre in campo. “Signor Cozza! Che ci fa
qui?”. “Salve Vincè. Ho accompagnato Ciccio…e poi ci sta lu derby”.
l'Us Catanzaro 86-87 |
Clima rovente, ritmi latini. Francesco ha studiato per tutta
la settimana quelle due formazioni, ha controllato ogni volto, ogni
caratteristica. È “solo” una partita di serie C. “Solo” per chi finge di non
capire. La prima frazione scorre incorniciata dall’unilaterale tensione. Da
un’attesa irrazionale. All’8’ Tavola appoggia in spaccata e fa passare i bianco
vestiti catanzaresi. Gioisce per tutte le aquile non presenti, obbligate a non
librarsi in volo verso il suolo nemico. Voce fuori dal coro ai piedi di venticinquemila
bruzi senza sorriso. San Vito mesto, placidamente ammutolito. Al 19’ Mirabelli
rianima la marea cosentina con un preciso colpo di testa. Poi l’intervallo. Manca
qualcosa.
Massimo Palanca |
“Papà, papà!”. “Dimmi Ciccio.” Tutto l’entusiasmo di un piccolo
tredicenne è condensato su una particolare figura. Ne conosce l’identità, le
caratteristiche. Ne è misticamente attratto. “Ma lo vedi il 15? Quello che sta
per entrare in campo? È Massimo Palanca. Guarda, è vero che ha il baffo
grandissimo e i piedi piccolissimi.”
Nello stesso istante, a distanza di un lancio lungo, la
leggenda giallorossa muove la ricciola chioma e con essa i due puntini neri all’estremità
del suo corpo. Una piccola scritta dorata su di loro. È la Pantofola d’Oro a
marchiarli. Quel 37 fatto su misura che lo abbraccia da una vita. Dalle
partitelle dietro casa a Loreto. Dai duri esordi nella ruvida serie D con la
maglia del Camerino. Dall’esplosione nel Frosinone. Dal primo gol in maglia
catanzarese. A distanza di una trasmissione radiofonica, per il suo popolo, è
pura estasi. Per Francesco anche. Eccitazione crescente, gonfiata a dismisura. Come
da copione, la più regale delle aquile, segna. Decide.
“Hai visto Ciccio? Neppure l’ha sporcat’ u’ sinistru.”. Il
tabellone segna 1-3. Palanca, Palanca. Minuti 65’ e 68’. Una mirabolante
incornata, un destro al volo. Derby finito in concomitanza con il suo ingresso
in campo. Una marcia funerea, galleria di smorfie e lacrime, accompagna
Francesco e suo papà alla Fiorino di famiglia. “Ja ci pijamo nu panino pe
strada Ci’!”. Si chiudono le portiere, ma la magia non sparisce nella testa del
ragazzino. L’unico rammarico di non aver visto qualche saetta uscire da quel
mancino.
La Fiorino arranca, arriva al traguardo finale borbottando. “Bar
Mascione”. Solito rituale. Panino con mortadella e chiacchierata religiosa tra
lupi rossoblu. “Do’ sta Ciccio?”. Francesco è immobilizzato. Osserva l’enorme
pullman bianco davanti a lui. Sulla fiancata una scritta incantata. “US
Catanzaro”. Sono lì, al ristorante “Amalfi”. Proprio loro. A distanza di tre
polverosi metri. Gli antieroi coperti di bianco, scappati a braccia alte, senza
voltarsi, dal San Vito in lutto.
Francesco osserva. L’Eden rappresentato da un insieme di
placche e ruote. Un colpo di tosse. Non è suo. Gira attorno allo specchietto senza toccarlo. Butta
lo sguardo. Il baffo. Foltissimo. I piedi, coperti dalla parte inferiore della
tuta. Quasi a proteggerli. È lui; sbuffa fumando una sigaretta. È solo.
“Pa-Pa-Palanca?”. Spunta un volto giovanissimo e pallido
dalla fiancata del bus. “Si, dimmi pure ragazzino.”. Segreto preziosissimo.
Visione prodigiosa. “Sa, ero allo stadio.”. “Lo immagino, praticamente tutta
Cosenza era lì ad urlarci contro.”. Pausa imbarazzata. L’idolo di mille
fantasie non ha capito. “Io veramente non tifo Cosenza.”. “E mi vuoi dire che
sei di qui ma tifi Catanzaro?”. “No, no. Amo semplicemente il calcio. Mi piace
vederlo, giocarlo. Sa, il mio allenatore mi dice sempre di calciare le
punizioni come lei…ma io sono destro.”. “L’importante è calciarle forte e
segnare.”. Ricordi che tornano a galla. Dura verità. Massimo Palanca, la
leggenda, è riservato, proprio come aveva letto Francesco. Forse ancora di più.
Non si specchia nel suo passato, nel suo presente, nei suoi 170 centimetri d’istinto
e classe. La boria è distante anni luce da quel sorriso cammuffato.
4 marzo '79. La tripletta di Palanca |
“Quando ascolto le vostre partite alla radio sento sempre un
coro che fa “Massimè pari na molla”. Ma cosa vuol dire?”. “Semplice, perché sono
piccolo quasi quanto i miei piedi. Li vedi? Quindi devo correre, scattare,
anticipare. Altrimenti come faccio a fare gol? Il coro è nato dopo la mia
tripletta con la Roma, all’Olimpico. Vincemmo 1-3, proprio come oggi.”. “Ma la
famosa partita dove segnò da calcio d’angolo?”. “Bravo bambino, vedo che ne sai
di cose.”.
Francesco è orgoglioso. Si sistema il ciuffo. Gratta di
riflesso una ferita sulla gamba. Si sofferma sul baffo. “Certo, ho anche un suo
poster in camera. Sta calciando dalla bandierina e dietro di lei, nella curva,
c’è uno striscione che dice “SOLO UN MITO POTEVA SUPERARE LA LEGGENDA, SOLO TU,
O’REY, IMPERATORE DELLA OVEST”. L’osservo ogni sera, prima di addormentarmi. E di
fianco c’è scritto che ha fatto 13 gol direttamente da calcio d’angolo. 13!”.
Palanca e Rivera. 29 aprile 1979. Da magliarossonera.it |
Colpo andato a segno. L’eterno capitano delle aquile lancia
la sigaretta a terra. La spegne dolcemente. Inarca le spalle. Fissa dritto
negli occhi Francesco. Segno di novità. Pensa al Militare giubilante. Tempio affrescato,
partita dopo partita, dal suo pittoresco sinistro. Per la prima volta sente
qualcosa. Sa che quel bambino è speciale. Parla. “Sai ragazzino. È facile farsi
volere bene da un popolo come quello di Catanzaro. Sono solari, colmi di
passione. Vivono il calcio come se fosse la loro unica ragione di vita. Mi adottarono
più di dieci anni fa, mi accudirono come un figlio. Venivo da un bel campionato
in serie C con il Frosinone. Ero stato capocannoniere. Ma sai, la B è tutta un’altra
cosa. Lottammo insieme. Io e le aquile sugli spalti. Arrivammo in serie A in due anni. Mi
chiamavano “re”. Ero semplicemente loro figlio, loro fratello. Quando me ne
andai, dopo 70 gol, sentii un vuoto dentro. Era incolmabile. Vivevo nella parte
alta della città. La domenica mattina mi svegliavo, guardavo da una parte e
vedevo lo Ionio. Poi mi giravo, ed ecco il Tirreno. Uscivo di casa con il
borsone e trovavo i vicini affacciati che mi battevano le mani. Sono piccole
cose, che fanno grande il cuore di un uomo. Napoli, Como e Foligno sono stati
semplici punti di passaggio. Ho sempre saputo in realtà che sarei tornato dalle
tre “V”. L’altro giorno un giornalista mi ha chiesto perché sia tanto innamorato
di questa squadra, di questo luogo. Io ho semplicemente risposto che vivo alla
giornata, in provincia, lontano mille chilometri dai grandi centri. Ma la sera,
quando me ne vado a casa, Catanzaro diventa Parigi, Roma, New York. Sarò un po’
matto ma è così.”.
“Massimè dai che c’è il dolce! Che cazzo fai? Stai parlando
con quel bambino da 3 ore!”. Il baffo ruota vorticosamente. Poi si sofferma
nuovamente su Francesco. “Scusalo. È il nostro dirigente. Aspetta un attimo.”.
Il piccolo Ciccio chiude un bottone della polo. Quello più vicino al mento. Osserva il mistico mancino, il
ponderato saggio, salire sul pullman. Riflette su come ogni parola, ogni suo
movimento, fosse atto al ricordare la sua città. Al venerare proprio
chi lo ha eletto leggenda. Premia chi lo ama. Lo fa con una continua, viscerale,
promessa di attaccamento.
“Tieni, ci vuoi anche un autografo?”. La maglia tra le mani.
Non è quella della partita appena giocata. È giallorossa. Ha il numero 11. Il suo
numero. Quasi a volersi scusare ulteriormente di quello scempio, di quel 15 che
non gli apparteneva e che già aveva cancellato con due reti. “Dai, come ti
chiami?”. “Francesco, anzi no, meglio Ciccio, tutti mi chiamano così.”. “E il
cognome?”. “Cozza, ma perché? Scrive anche quello?”.
“Certo, perché quando
anche tu segnerai su calcio d’angolo in serie A non ti chiameranno Francesco,
sarai per tutti Ciccio Cozza. E io sarò il primo a festeggiare per te.”.
Francesco Cozza, ct catanzarese |
La luna splende nel cielo terso. È aiutata dalla luce del
computer nel difficile compito di schiarire la stanza. Un uomo nella penombra
clicca morbosamente il tasto play su due video. Assieme alle dita, alla mano,
al braccio, si muove la stretta polo, con il colletto alto. È segnata da uno scudetto ricamato. Un’aquila
su sfondo giallorosso. Sulle nere pupille si riflettono chiaramente due calci d’angolo.
Due pregevoli soluzioni balistiche. Due gol privi d’interferenze. L’audio è
flebile ma distinto. “Incredibile gol di Palanca! Ci ha ormai abituati a queste
soluzioni”. E ancora: “Lupatelli è battuto da una fantastica invenzione di
Ciccio Cozza. Segna direttamente dalla bandierina con un destro velenosissimo.”.
il pregiato destro di Ciccio Cozza |
La polo si piega, il collo si gira. Dietro la poltrona, appesa al muro, una
maglia numero 11, autografata. La mano ritorna sul mouse. Wikipedia. Massimo
Palanca: 115 reti in 332 partite con la maglia del Catanzaro. Francesco Cozza:
48 gol in 138 apparizioni con la divisa della Reggina. La testa ruota ancora. Sotto
quella maglia a strisce giallorosse ce ne sono un centinaio granata. Spartite equamente tra
il numero 10 e il 35. Ad accompagnarle una miriade di fasce da capitano.
Eccola. La stessa sensazione provata vicino a quel pullman,
davanti a quei baffi. L’orgoglio, l’ammirazione. Poi il viaggio nei ricordi. Il
Granillo. I calci piazzati. I palloni al bacio per Amoruso. La cascata dei Boys
dopo la rete gonfiata. Le salvezze, le retrocessioni. L’amore per quella città. La completa devozione per quei colori, per quella gente. Connessione improbabile e lontana. Convergenze di amori personali e collettivi. Sapori d'interminabilità.
Le dita si muovono ancora, sollevano la cornetta.
“Papà.”. “Uè Ci’, ma lo sai che è tardi?”. “Si, scusa pà, è
che non capisco. Abbiamo perso pure oggi, abbiamo preso 4 gol dal Perugia. Qua è
tutto un casino. Non riesco ad allenarli. Tutta Catanzaro mi odia. Sono la
brutta coppia di Palanca.”. “Ma che dici a Ci’! Ma lo sai chi sei te! A Reggio
Calabria non puoi nemmeno camminà pe’ strada da quanto ti amano. Palanca era il
re di Catanzaro, tu lo sei di Reggio. E poi, hai appena iniziato a fà l’allenatore.
Tieni 39 anni. Stai tranquillo no? Te l’avevo detto di resta’ alla Reggina.”.
L'esultanza di Cozza sotto la sua curva |
Francesco si alza spostando leggermente la
poltrona per non fare rumore. Si affaccia sul balcone scostando la tenda. “A
pà. Però Palanca aveva ragione. Sai, proprio mo’ sto vedendo due mari. È bellissimo. Ma mi manca qualcosa”.
“Ecco Ci’. Bravo. Quei due mari che vedi siete te e Palanca.
Tante cose vi separano, ma nessuno al mondo potrà oscurare quello che
significate. Due modelli. Due bandiere. Due leggende. Voi siete le società per cui
avete giocato. I tifosi lo sanno e lo trasmetteranno di generazione in
generazione. Il flusso dei ricordi non terminerà. Voi siete la storia di due città.”.
Francesco chiude il bottone della polo rientrando in casa. Dimentica aperto sempre quello più in alto. Un vizio che non ha età. Guarda
l’immagine di quel campione riccioluto fissa al centro del pc. L'espressione è identica a quella che l'aveva salutato nel novembre di ventisei anni fa. Si osserva allo specchio. “Sai
cosa pa’? Penso che mi farò crescere il baffo. E se mi cacciano a fine anno io
torno a Reggio Calabria, mi manca proprio. Quando scappo lì, appena rientro in città, mi pare di essere a
Parigi, a Roma, a New York…e ogni volta che mi vedono i vicini mi salutano e mi
abbracciano. Penso proprio che Reggio sia la città più bella del mondo. Sarò un
po’ matto, ma è proprio così.”.
ed ecco alcuni dei migliori gol di queste leggende:
le migliori reti di Palanca
e quelli di Ciccio Cozza in maglia granata
ci trovi anche su fb: http://www.facebook.com/ParterreNoteDiCalcioRomantico
(l'articolo in questione è puro frutto della fantasia. non è ispirato ad avvenimenti reali.)
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