Wright, di spalle, assiste all'esultanza di Gualtieri e compagni (foto: mirror.co.uk) |
Bonini-Bacciocchi-Gualtieri: tre nomi
in rapida (rapidissima) sequenza che, ai più, non dicono nulla.
Bonini, forse, evoca ai più esperti e attenti quel Massimo che
trascorse gran parte degli anni ottanta con addosso la maglia bianconera della Juventus.
Bacciocchi invece di nome fa Nicola, gioca centrocampista ma il suo
nome, eccetto qualche citazione negli almanacchi più dettagliati,
non compare nella memoria collettiva di nessun appassionato di
calcio, o quasi. Gualtieri, il terzo e ultimo vertice del triangolo
in questione, il vertice più radioso, è il protagonista di una
folle notte di calcio: è il 17 novembre 1993. Bologna, Stadio Renato
Dall'Ara. Una serata fredda, l'inverno alle porte. La nazionale di
San Marino ospita i maestri inglesi, i “Three Lions”, per le
qualificazioni al mondiale del 1994, quello del caldo soffocante, del
rigore di Baggio e della squalifica “in diretta” di Diego
Maradona.
Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Una
scarica di mitra su una storia già scritta. Gli inglesi si
presentano a Bologna convinti che la pratica San Marino verrà
archiviata senza troppi spargimenti di sangue: in campo i vari Ince,
Walker, Platt, Ferdinand, Wright, in tribuna qualche coraggioso “lad”
accorso per sostenere i suoi nella partita più facile della storia.
Che amaro destino, quello della “Serenissima”, la nazionale del
microstato racchiuso fra i confini marchigiani e quelli romagnoli:
scarsa, scarsissima come tante altre ma, a differenza delle
rappresentative oceaniche o asiatiche, costretta a misurarsi ogni
anno con le inarrestabili corazzate europee. Grappoli di gol subiti ovunque
si giochi: in casa, in trasferta, nessuna differenza. Quasi nessun
professionista ad indossarne i colori, eppure il grande orgoglio di
difendere la dignità calcistica della propria terra contro i titani del vecchio continente.
Gli inglesi, ovviamente, avranno
ragione. Nessun patimento, tre punti facili, morbidi, assicurati.
Questo dicono le statistiche: 1-7 per i
Leoni. Ince-Wright-Ferdinand-Wright-Ince-Wright-Wright, eppure i
tabellini non raccontano tutto ciò che c'è da sapere. Quell'uno,
numero in apparenza insignificante, vale più di tutte le umilianti
sconfitte, più di tutte le centinaia di reti subite. E' un'unita che
racchiude il calcio intero, nella sua essenza, nella sua commovente bellezza.
Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Tutto in
otto secondi e tre decimi. Tanto ci vuole per scrivere un pezzo di
indelebile storia del football ai tre ragazzi in maglia celeste. Il gol
più rapido della storia del calcio internazionale: Davide che
colpisce subito Golia, senza aspettare che faccia lui la prima mossa.
Pazienza se poi la battaglia verrà stravinta dal favorito, la storia
farà suo il gol di Gualtieri, non i tre punti degli inglesi. Fischio
d'inizio, Bonini la passa a Bacciocchi, Bacciocchi verticalizza
sbagliando la misura del lancio. Se questo gioco fosse una scienza
esatta tutto sarebbe terminato qui. La difesa inglese sarebbe ripartita costruendo la sua prima azione offensiva della gara. Invece no: l'imprevedibile si
manifesta nelle sembianze di Stuart Pearce, allora esperto difensore del
Nottingham, che protegge il pallone per l'uscita di Seaman toccandolo però troppo debolmente: l'estremo difensore si avventa in uscita ma
Gualtieri, che aveva seguito l'azione senza demordere, riesce a batterlo in allungo. Ciò che accade nei restanti novanta minuti di
gioco è puro contorno. Il succo, la polpa, il bello del calcio sta
tutto in quella manciata di secondi. Gualtieri esulta tornando verso
il cerchio di centrocampo, inseguito dai compagni, con il viso estasiato ed
incredulo. Gli inglesi, gelati in campo e sugli spalti, si guardano
come se fossero capitati su Marte.
L'impresa è la rete che si
gonfia, non il risultato finale. La leggenda è l'attimo fugace colto
a scapito degli equilibri e dei pronostici, la caparbia corsa di un
dilettante affammato contro le leggende del calcio professionistico,
la leggera sufficienza di Pearce, lo strano silenzio rotto da sporadiche urla del Dall'Ara.
Gualtieri diventerà l'idolo di
scozzesi e gallesi, d'improvviso un personaggio: i microfoni, le
interviste, le simpatie di mezzo mondo. Il mondo che gira al
contrario per otto secondi, oggi come allora. Tanto basta per
innamorarsi di questo gioco: ricordarsi di quegli istanti. Piccoli episodi gloriosi che
rischiano d'essere cancellati da un calcio industriale e meccanico,
da uno sport fatto sempre meno di uomini e sempre più di numeri.
Numeri. Come quel sette, cancellato senza appello dalla rete di
Gualtieri ancor prima che esso potesse materializzarsi. Come giocare
a calcio con la propria sorella in cortile, vincere 20-1 ma sentirsi
sconfitti comunque, per quel piccolo “uno” che non si piega di
fronte alla strenua dicotomia vittoria-sconfitta.
Gualtieri (che oggi si occupa di computer), con la maglia che Pearce gli regalò al termine di San Marino-Inghilterra (foto: telegraph.co.uk) |
Andare oltre, scavare, nutrirsi di ciò
che sembra superficiale ma che, in realtà, è tutto l'opposto.
Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Una sorta di “Memento”, l'imperativo
imprescindibile che ci obbliga a credere che si possa andare fuori
dallo schema prestabilito, che si possa alzare il volume, che si
possa credere a qualcosa di diverso. Che senso avrebbe essere
innamorati e soffrire per questo gioco se in noi non ardesse anche
solo una singola fiamma di speranza verso l'impossibile? Se non vi
fosse dentro i nostri cuori la piccola ma incancellabile convinzione
che il calcio è magico proprio per il gol di Gualtieri più che per
i quattro di Wright?
Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Oltre il
risultato, oltre i trofei, oltre i soldi e il blasone, v'è l'uomo.
Il calcio dell'inatteso, delle sorprese, della speranza. Il calcio
delle debolezze, così umano da apparirci gioco divino.
Gian Maria Campedelli
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