venerdì 25 ottobre 2013

LAMPEDUSA: STORIA D'UN CALCIO ISOLATO.



 di Gianmarco Pacione

Onde urlanti, inermi. Delle barche muovono insicure, equilibriste nel buio sconosciuto. Migranti attonite, pescatrici di speranze.

Il faro dalla costa illumina scanditamente volti senza nome. Una stanca imbarcazione segue con gli occhi, però, altre luci artificiali. Contornano attente una terra dalle venature marroni, connubio di carnagioni mescolato con manciate di sabbia dorata. 

Din. Suona la traversa. 

Azione di gioco d'una gara casalinga del Lampedusa
Al “Grazio Arena” si stanno allenando i ragazzi del Lampedusa Calcio, come ogni sera. 

Calcio sperduto, calcio isolato. Sognatori danzanti nell’opaco anonimato, volteggianti su logori tacchetti. La loro GSD è di nuovo viva. Appena iscritta nell’ultima serie esistente, dopo mesi di puro calvario. La rinuncia alla prima categoria era stata un’inevitabile conseguenza: troppo alte le spese, troppo elevati i costi per spostarsi in Sicilia più di dieci volte all’anno. 

Sacrifici e sudore. L’obbligo di sveglia all’alba della domenica, l’aereo fino a Palermo e poi il pullman fino a Calatafimi, Capaci... Passione irrazionale, tutta lampedusana. Poi le beffe, continue, di molte, troppe società che nemmeno pensavano e penseranno a presenziare oltre mare all’incontro domenicale. Vittorie a tavolino, sconfitte personali inaccettabili, mortificanti. 

Le righe bianche risaltano, quasi fosforescenti, sulla placca africana. Le recinzioni sono traballanti. Implorano aiuto, tra smorfie atroci, dai tempi del passaggio papale e dal loro necessario abbattimento. Rendono il campo inagibile per quest'anno, obbligano il Lampedusa a giocare le gare casalinghe a Mondello.

Una bestemmia sibila nel cielo nuvoloso. Il pallone impatta, sordo, contro il legno. Allieta anime, gioca a torello. Lo fa tra le barche che popolano il cimitero, sorto sommessamente a lato del campo. Defunte macchine di morte abbandonate, ripudiate, lasciate marcire quasi per disprezzo. 
Sullo sfondo uno scorcio del cimitero delle barche

Un gruppetto di bambini sfida il cordone rosso di pericolo. Occhi brillanti, quelli di pochi eletti alla vista di una sfera rovinata. Il futbol respira a grandi polmoni la brezza mediterranea. 

L’impolverato “Grazio Arena” scambia uno sguardo con quella che sarà la sua nuova vicina, barcollante tra le onde. 

Gli occhi che ricambiano sono quelli di scuri figuranti. Presto, bisognosi d'un futuro, d'un lavoro, d'una qualche certezza, si troveranno a lasciare impronte nude, a dipingere le suole di rosso, a soddisfare quella biglia fatata che già conoscevano in terre lontane. Non curanti del presente, del passato, del futuro, della vita, della morte.

Un po' come i ragazzi in campo ora, vestiti a festa per il più affascinante rito pagano. Un po' come quest'isola lontanamente vicina a tutto. Un po' come questo calcio naif: ostacolato, emarginato, poeticamente pulsante, testardamente immortale.



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