giovedì 20 febbraio 2014

FINO ALL'ULTIMO TACKLE: VITA E GESTA DI NOBBY STILES

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)



Collyhurst, appena fuori Manchester, anni Quaranta. E' la cartolina perfetta della grigia periferia operaia inglese, fuliggine, olio, il fumo delle fabbriche. Pochi soldi, ragazzini che devono crescere in fretta per dare il cambio ai padri. Nasce qui Nobby, 1942. Collyhurst: un non-luogo industriale che fa da culla ad un bambino come tanti, la speranza per il futuro nel pieno della guerra. 


Me lo immagino oggi, seduto su di una poltrona al centro di un salotto di una normalissima casa vicino allo stadio, a leggere tabloid sportivi o a seguire le partite durante il fine settimana. Lo sguardo perplesso e vigile, beffardo, da diavoletto. Come puoi credere che questo sia ancora calcio, Nobby? Se lo è, beh, non è più il tuo. E cosa pensi mentre i tuoi occhi urlanti vedono scorrere auto di lusso, tubetti di gel, simulazioni, tagli di capelli glamour, eventi mondani, veroniche, doppi passi, maglie gettate a terra, cosa pensi, Nobby? Se davvero te lo chiedessi, vorrei mi guardassi disgustato, senza dire una parola, a testa alta.

Nobby nasce Norbert Peter Stiles, e oltre ad essere venuto al mondo in un posto di merda più cresce e più a casa ci si rende conto che non potrà diventare, per esempio, un attore. Niente soldi facili, maledizione! Basso, gracile, storto, mezzo cieco. Già da bambino passa come quello strano, come quello brutto, i lineamenti sono ruvidi, come se avesse segnata sul corpo tutta la fatica delle sue vite mille precedenti, vite dure, dure davvero, a quanto pare. Nobby, però, ha un dono. Uno, l'unico vero dono che il destino gli ha fatto e che è anche il biglietto di sola andata per uscire dal cemento di Collyhurst: il piccolo rachitico sa giocare a calcio. Paga il debito col destino lasciando i suoi denti sul campo di battaglia dopo uno scontro di gioco. Nobby è la quintessenza della menomazione fisica, non ha la classe e la forza di Stanley Matthews, non ha successo con le donne, eppure diventa un giocatore del Manchester United e nel 1960, a diciotto anni, esordisce nel massimo campionato inglese contro il Bolton Wanderers. "Tanti saluti Collyhurst, è stato un piacere!" 

Nobby e il suo sorriso. 
Norbert Stiles inventa o quantomeno perfeziona un modo di giocare che era l'unica via tramite la quale uno con quella faccia lì poteva sperare di diventare un calciatore vero: “L'Assassino”, come verrà presto soprannominato, rappresenta il simbolo di un esercito di centrocampisti di rottura che dagli anni Sessanta in poi assurgeranno a merce rara e preziosissima per gli allenatori. Un incubo per gli avversari, una risorsa infinita per lo United. Nobby è un instancabile mastino che ruba palloni dal primo all'ultimo minuto, nessuno gli chiede di impostare, nessuno gli chiede di costruire un'azione o fare gol, lui ha solo due compiti: difendere strenuamente la maglia e la gloria dei Red Devils e distruggere senza pietà e tregua le manovre avversarie. Se qualcuno di voi ha idolatrato Roy Keane, Gravesen, Tofting o addirittura Gattuso, è merito di Nobby, che è un ragazzo ambizioso, nonostante tutto. Non si arrende: è riuscito ad andarsene da Collyhurst, figuriamoci se si accontenta che diventi l'Old Trafford l'ultima sua fermata.

Nobby in maglia United.
Prima del suo anno d'oro vince un campionato inglese, un Charity Shield e una FA Cup: la strada per il Mondiale del 1966 è lastricata di sudore e successi, entrate dure come mitragliate di trincea e gloriose vittorie. Alf Ramsey, maestro di pragmatismo e tattica, lo chiama per la Coppa del Mondo che i Tre Leoni inglesi disputeranno quell'anno, a casa loro. Lui scenderà in campo la prima partita come esordiente in una competizione di tale livello e ne uscirà da vincitore. Più del trionfo in finale, Stiles raggiunge la vetta più alta della sua esaltante carriera nella semifinale con il Portogallo: gli tocca occuparsi di Eusebio, la Pantera Negra vincitrice del Pallone d'Oro dell'anno prima. Eusebio non vedrà il pallone, ma il mondo intero vedrà Nobby. Tutti si accorgeranno di quanto la fame possa annullare anche il più puro e fenomenale spunto tecnico: Stiles deve aver capito, alla fine di quella partita, che per lui oramai non c'era più nessun esercito da temere. Avrebbe combattuto fino alla fine, lo scudo in mano e lo sguardo da giovane psicopatico, la divisa sudicia di terra e sudore, i capelli ormai persi per strada come se avesse settant'anni, ma lo avrebbe fatto sapendo che avrebbe vinto. “Sotto a chi tocca, bastardi!”.

Il suo sorriso al termine della finale con la Germania dell'Ovest diventerà leggenda, un sorriso incompleto e allo stesso tempo colmo di gloria, di fatica, di fiera realizzazione.

Rimarrà allo United fino al 1971, continuando a vincere in patria e in Europa (con i Red Devils trionfò nela Coppa dei Campioni nel 1968), per trasferirsi poi al Middlesbrough, terminando la carriera al Preston North End, nel 1975. Tornerà al Preston due anni dopo, iniziando la sua carriera da allenatore che durerà appena nove anni.

L'eroe di Collyhurst ha vissuto nell'era in cui il calcio era lavoro duro e senso di appartenenza, dove le fighette isteriche venivano lasciate ai margini, dove o eri George Best o certe bizze non ti sognavi nemmeno di farle. Dove il calciatore era prima di tutto uomo, dove lo sport era anche dolore, sacrificio. E, soprattutto, ha vissuto nell'era in cui tirare calci a un pallone da professionista non significava automaticamente diventare un nababbo. Nobby, infatti, nel 2010 è costretto a compiere una dolorosa scelta e a vendere gli oggetti che l'hanno accompagnato durante tutta la sua carriera, compresa la medaglia del Mondiale del 1966. “Ho tre figli e devo aiutarli, ma non rimpiango di aver giocato in anni in cui non esistevano i mega salari, io ero giovane e felice. Ai giovani d'oggi posso solo augurare buona fortuna”

Nobby mostra con fierezza la medaglia vinta nel 1966
(foto: Dailymail.co.uk)
Nell'epoca delle Lamborghini a ragazzini appena diciottenni, nell'era degli scandali sessuali, del calcioscommesse, delle creste e dei tatuaggi, nell'epoca del "tirate indietro la gamba!", degli affaristi del football, dei procuratori-sciacalli, della corruzione, Nobby Stiles continua ad essere un esempio. A tacchetti spianati, come sempre, con quel gran sorriso da ex-ragazzo di periferia figlio ed erede (in campo e fuori) della working class, senza rinnegare nulla, dritto per la sua strada, fino all'ultimo tackle.


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