venerdì 8 agosto 2014

STORIA D'UN PRINCIPE PALESTINESE NATO A SANTIAGO

di Gianmarco Pacione (per seguirici su FB clicca qui)

Bishara con la maglia della sua nazionale

"Un gol della Palestina, nel nostro stadio, vale più di cento bombe"

In primera con la maglia del Palestino
Dei lineamenti mediorientali disegnano il profilo d'una notte bollente, sono imperlati di piccole biglie di sudore che continuano a scendere, finendo per toccarsi sulla seta delle scure lenzuola.

Alza le spalle possenti l'uomo di quel profilo, le preme contro le ginocchia: è rannicchiato nel suo letto in una sperduta, ordinaria casa della periferia di Santiago del Chile.

Respiro affannoso, occhi spalancati.

Le pareti, le finestre, l'anima. Tutto trema, tutto bombardato. 

Roberto Fabian Bishara Adawi non è un giocatore come tanti altri, lo si capisce solo dal nome.

Non è una leggenda come tante altre. Roberto Bishara è emblema carismatico d'una terra distantissima: la sua.

La testa ribolle, le vene pulsano. Suonano i rintocchi, piovono dal cielo senza mai mancare il bersaglio.

Bombe israeliane.

Roberto Bishara è a Santiago del Chile, dove in cielo l'alba si fa strada timida e tranquilla; Roberto Bishara è anche in tutta la Palestina, dove c'è solo tramonto, dove c'è solo paura.

"Mi sentivo infinitamente orgoglioso di poter giocare per il Paese dove vissero i miei avi"

Nato in Cile da genitori immigrati, fin da piccolo Bishara ascolta il padre parlare la lingua dell'Oriente arabo. Erano belli quei suoni tondi, a volte frenavano per diventare saltellati: sembrava una cantilena, ad occhi chiusi poteva immergersi nella calda sacralità della sua vera patria. 

La strana numerazione del Club Palestino.
Cile e Palestina, un legame etereo.

Bishara diventa capitano, a pochi chilometri da casa, d'una delle più affascinanti compagini dell'intero emisfero: il Club Deportivo Palestino.

Fondato negli anni '20 da un gruppo d'immigrati palestinesi. Da lustri, ormai, fermo in pianta stabile nell'olimpo della Primera cilena.

Una favola colorata di verde, bianco e rosso.
Manifesto politico tra due porte: roboante esempio sono i numeri sulle maglie che pochi mesi fa richiamavano l'antico territorio palestinese.
Storia di sponsorizzazioni irrazionali, come la Bank of Palestine.
Canzone araba e latina, intreccio di adhan e tango, suonata instancabilmente da sensibili calciatori e da un'hinchada di tifosi cileno-palestinesi con il fiume Giordano nelle vene. 

Bishara, all'estadio municipal La Ciserna, lungo tutta la sua carriera è idolo e profeta, "Cammello" e "Principe Arabo".

"Per loro la Palestina non esiste"

Ma il club non basta, l'identificazione dev'essere completa. Il desiderio di sentire quella maglia sulla pelle, di vedere quei tifosi sugli spalti, di ascoltare quell'idioma e quell'inno: irrazionale volontà.

Ecco allora gl'interminabili viaggi aerei per vestire la maglia della sua nazione, quella distante mari e checkpoint. Odissee tra interrogatori di poliziotti israeliani che non credono alla versione del calciatore, tra partite cancellate per cause militari.

Bishara dopo un gol
Buffon, Gerrard, Casillas...icona, a volte, vuol dir essere ben altro.

25 partite ufficiali in maglia palestinese, debutto e ritiro con quella del Deportivo Palestino. Sempre giocando di sciabola e di fioretto là, nella zona centro-sinistra della retroguardia.

Una carriera, un tributo ad un popolo. Oggi, a soli 34 anni, Bishara è il presidente del club che l'ha accompagnato per tutta la carriera. 

Eppure il letto trema ancora, la polvere continua ad alzarsi dagli angoli della cupa stanza. Uno, due, tre, quattro.

Altri quattro. L'acqua del lavandino si fonde con le lacrime, con il sudore di Bishara.
Altri quattro, tutti bambini, morti mentre giocavano a calcio lungo la spiaggia della Striscia di Gaza.

Lo sente a mari ed oceani di distanza, come lo sentiva quando il pallone gli sfiorava il mancino. La sua terra è ancora in ginocchio.

"Il calcio è più forte dei proiettili; il football deve unire, non separare"

I pugni chiusi. Non bastano le parole. Il vento soffia stanco, ha fatto un lungo viaggio. Soffia e porta pianti, soffia e quella lingua, prima tonda e saltellata, d'un tratto pare solo un infinito lamento, una flebile richiesta d'aiuto senza un preciso indirizzo.

Il "Principe Arabo" l'ascolta, come faceva con suo padre da piccolino: della calda sacralità nessun residuo. 

L'opera d'un artista israeliano per i quattro bambini morti la scorsa settimana, colpiti da una bomba


 




  


1 commento:

  1. Il calcio è più forte dei proiettili; il football deve unire, non separare

    Sono molto d'accordo con questa frase, penso che il calcio possa coltivare la consapevolezza della squadra delle persone. Lascia che tutti lavorino insieme per andare tutti allo stesso scopo.

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