martedì 12 marzo 2013

LA TRACOTANTE NOTTE DEL DALL'ARA: GUALTIERI E I TRE LEONI INGLESI

Wright, di spalle, assiste all'esultanza di Gualtieri e compagni
(foto: mirror.co.uk)

Bonini-Bacciocchi-Gualtieri: tre nomi in rapida (rapidissima) sequenza che, ai più, non dicono nulla. Bonini, forse, evoca ai più esperti e attenti quel Massimo che trascorse gran parte degli anni ottanta con addosso la maglia bianconera della Juventus. Bacciocchi invece di nome fa Nicola, gioca centrocampista ma il suo nome, eccetto qualche citazione negli almanacchi più dettagliati, non compare nella memoria collettiva di nessun appassionato di calcio, o quasi. Gualtieri, il terzo e ultimo vertice del triangolo in questione, il vertice più radioso, è il protagonista di una folle notte di calcio: è il 17 novembre 1993. Bologna, Stadio Renato Dall'Ara. Una serata fredda, l'inverno alle porte. La nazionale di San Marino ospita i maestri inglesi, i “Three Lions”, per le qualificazioni al mondiale del 1994, quello del caldo soffocante, del rigore di Baggio e della squalifica “in diretta” di Diego Maradona.

Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Una scarica di mitra su una storia già scritta. Gli inglesi si presentano a Bologna convinti che la pratica San Marino verrà archiviata senza troppi spargimenti di sangue: in campo i vari Ince, Walker, Platt, Ferdinand, Wright, in tribuna qualche coraggioso “lad” accorso per sostenere i suoi nella partita più facile della storia. Che amaro destino, quello della “Serenissima”, la nazionale del microstato racchiuso fra i confini marchigiani e quelli romagnoli: scarsa, scarsissima come tante altre ma, a differenza delle rappresentative oceaniche o asiatiche, costretta a misurarsi ogni anno con le inarrestabili corazzate europee. Grappoli di gol subiti ovunque si giochi: in casa, in trasferta, nessuna differenza. Quasi nessun professionista ad indossarne i colori, eppure il grande orgoglio di difendere la dignità calcistica della propria terra contro i titani del vecchio continente. 

Gli inglesi, ovviamente, avranno ragione. Nessun patimento, tre punti facili, morbidi, assicurati. Questo dicono le statistiche: 1-7 per i Leoni. Ince-Wright-Ferdinand-Wright-Ince-Wright-Wright, eppure i tabellini non raccontano tutto ciò che c'è da sapere. Quell'uno, numero in apparenza insignificante, vale più di tutte le umilianti sconfitte, più di tutte le centinaia di reti subite. E' un'unita che racchiude il calcio intero, nella sua essenza, nella sua commovente bellezza.

Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Tutto in otto secondi e tre decimi. Tanto ci vuole per scrivere un pezzo di indelebile storia del football ai tre ragazzi in maglia celeste. Il gol più rapido della storia del calcio internazionale: Davide che colpisce subito Golia, senza aspettare che faccia lui la prima mossa. Pazienza se poi la battaglia verrà stravinta dal favorito, la storia farà suo il gol di Gualtieri, non i tre punti degli inglesi. Fischio d'inizio, Bonini la passa a Bacciocchi, Bacciocchi verticalizza sbagliando la misura del lancio. Se questo gioco fosse una scienza esatta tutto sarebbe terminato qui. La difesa inglese sarebbe ripartita costruendo la sua prima azione offensiva della gara. Invece no: l'imprevedibile si manifesta nelle sembianze di Stuart Pearce, allora esperto difensore del Nottingham, che protegge il pallone per l'uscita di Seaman toccandolo però troppo debolmente: l'estremo difensore si avventa in uscita ma Gualtieri, che aveva seguito l'azione senza demordere, riesce a batterlo in allungo. Ciò che accade nei restanti novanta minuti di gioco è puro contorno. Il succo, la polpa, il bello del calcio sta tutto in quella manciata di secondi. Gualtieri esulta tornando verso il cerchio di centrocampo, inseguito dai compagni, con il viso estasiato ed incredulo. Gli inglesi, gelati in campo e sugli spalti, si guardano come se fossero capitati su Marte. 

L'impresa è la rete che si gonfia, non il risultato finale. La leggenda è l'attimo fugace colto a scapito degli equilibri e dei pronostici, la caparbia corsa di un dilettante affammato contro le leggende del calcio professionistico, la leggera sufficienza di Pearce, lo strano silenzio rotto da sporadiche urla del Dall'Ara.

Gualtieri diventerà l'idolo di scozzesi e gallesi, d'improvviso un personaggio: i microfoni, le interviste, le simpatie di mezzo mondo. Il mondo che gira al contrario per otto secondi, oggi come allora. Tanto basta per innamorarsi di questo gioco: ricordarsi di quegli istanti. Piccoli episodi gloriosi che rischiano d'essere cancellati da un calcio industriale e meccanico, da uno sport fatto sempre meno di uomini e sempre più di numeri. Numeri. Come quel sette, cancellato senza appello dalla rete di Gualtieri ancor prima che esso potesse materializzarsi. Come giocare a calcio con la propria sorella in cortile, vincere 20-1 ma sentirsi sconfitti comunque, per quel piccolo “uno” che non si piega di fronte alla strenua dicotomia vittoria-sconfitta.

Gualtieri (che oggi si occupa di computer), con la maglia che
Pearce gli regalò al termine di San Marino-Inghilterra (foto:
telegraph.co.uk)
Andare oltre, scavare, nutrirsi di ciò che sembra superficiale ma che, in realtà, è tutto l'opposto. Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Una sorta di “Memento”, l'imperativo imprescindibile che ci obbliga a credere che si possa andare fuori dallo schema prestabilito, che si possa alzare il volume, che si possa credere a qualcosa di diverso. Che senso avrebbe essere innamorati e soffrire per questo gioco se in noi non ardesse anche solo una singola fiamma di speranza verso l'impossibile? Se non vi fosse dentro i nostri cuori la piccola ma incancellabile convinzione che il calcio è magico proprio per il gol di Gualtieri più che per i quattro di Wright?

Bonini-Bacciocchi-Gualtieri. Oltre il risultato, oltre i trofei, oltre i soldi e il blasone, v'è l'uomo. Il calcio dell'inatteso, delle sorprese, della speranza. Il calcio delle debolezze, così umano da apparirci gioco divino.

Gian Maria Campedelli


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