lunedì 20 maggio 2013

"LOCO", STANZA NUMERO 3. RENÉ HIGUITA



di Gianmarco Pacione (clicca qui per la seconda puntata
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Lo "scorpione" del loco Higuita
Il rimbombo continua, pesante ed intoccabile. Ogni pallonata di Vargas scandisce i miei passi. Cadono dei detriti dall’alto, non riescono a reggere la violenza del tremendo mancino. Come neve si appoggiano sui miei capelli. Chiudo gli occhi ed in un rapido turbinio di ricci riesco a scrollarmi di dosso la polvere.

Caricatura del "loco" René
Una luce d’emergenza si accende e spegne in continuazione. Penso a Jorge Valdivia, strano brainstorming. Il campanello richiama l’attenzione lanciando l’allarme a squarciagola. È una struttura fatiscente quella del dottor Escobar,  curata in modo superficiale. Chissà come si sentiranno i campioni rinchiusi qui, abituati ai migliori centri d’allenamento, all’onnipresente cura dei particolari, alle macchine perfette plasmate da proprietari multimilionari.  

In lontananza aumenta l’eco di goffi movimenti, di ordini lanciati con durezza. Poi ecco irrompere quattro dottori, i camici parlano chiaro, sono veri. In mezzo a loro, ammanettata, una foltissima chioma ondosa. Rapido cancan di bruschi istanti: i medici che, con forza, trascinano il paziente apparentemente privo di sensi; passano uno, due secondi ed il paziente si rianima improvvisamente. Urla, spinta, calci. Folle coreografia.


Higuita e Klinsmann
L’uomo ammanettato prova in tutti i modi a liberarsi. Tentativo  vacuo. Il mare in tempesta della sua chioma si ferma per un istante, lasciando spazio alla quiete ed alla visione. Le labbra carnose, il baffo foltissimo. Maglia a maniche lunghe che termina in un connubio di manette e guantoni. Si, guantoni da portiere. È lui, impossibile sbagliarsi. È René Higuita.

Senza chiedere nulla, nemmeno uno scambio di sguardi, Escobar mi lancia da pochi passi la terza cartellina. Poi corre ad aiutare i suoi colleghi, in quella che tutto pare meno che una scena pacifica.
Higuita è seduto a terra, non si alza, non lo alzano. Un corpo potente, tozzo ma esplosivo, spinto sempre da un fuoco interiore senza precedenti e successori.

La divisa che indossa è indimenticabile. Mondiali 1990, la Colombia magica. Di quella mistica formazione proprio Higuita fu simbolo e boia allo stesso tempo. Leggo.

Higuita René, 175 centimetri per 80 chili. Nato a Medellìn il 26 agosto 1966. Ricoverato cinque volte. Paziente da codice rosso.”.

Dati stridenti e freddi, colpi amari alla mia memoria.

Higuita con la maglia della nazionale
Higuita è stato ed è la Colombia. Tutte le contraddizioni di uno Stato sempre pronto a scardinare qualsiasi limite. Ad allevarlo c’ha pensato la tremenda periferia, basta osservarlo. Il più sincero dei sorrisi è comunque ombreggiato da anni di carenze affettive e monetarie. L’unica casa in cui poter stare tranquilli era quella formata da tre montanti, logori, arrugginiti.

Casa con un padrone preciso. Un benefattore per molti, il re dei narcotrafficanti per altri. La cancha dove il giovane René volava per raccogliere il pallone tra le mani era del re di Medellìn. Sua, come ogni altro singolo sporco metro della città.

Pablo Escobar, solo omonimo del dottore che sta cercando goffamente di cingere il collo del paziente, per tutti l’unico e solo dominatore della droga e del crimine tra gli anni ’70 ed ’80. I tornei indetti dal maestro dell’illegalità furono un primo passo per far conoscere i due. Il carisma tra i pali di Renè affascinava fin dalle prime partite. Poco importava dei gol subiti, della forse eccessiva teatralità. L’intervento spettacolare, il dribbling sull’ingenuo attaccante in pressione, il repentino modo d'alzarsi dopo un intervento quasi a voler proclamare la proprio invincibilità.

Catalizzante, innovativo.   

Amicizie pericolose. Paese pericoloso. Legami che si ripercuotono, pesanti, sulla vita del portiere di Medellìn. C’è tempo per tutto però. Tempo per una carriera più che dignitosa, tempo per creare mode sul campo, per tratteggiare momenti indimenticabili per l'universo della pelota.

54 reti segnate, si, segnate. Chiedete pure a Rogerio Ceni chi sia una della sue maggiori fonti d’ispirazione. Piede fatato, destro a giro, profondo conoscitore dei calci piazzati.

Atletico Nacional dell'89, Higuita in alto a destra
Gli anni migliori con la maglia proprio della sua città. Quell’Atletico Nacional controllato dal padron Escobar. Squadra impressionante, capace nell’89 di vincere la prima Libertadores avendo in rosa solo giocatori colombiani.

Callate, callate!”. La chioma ricciola è tornata a farsi largo tra i camici, cercando una disperata via d’uscita. Con lei si muove una collana, tenuta larga da Higuita sul possente collo.
È caratterizzata da un piccolo oggetto, sgrano gli occhi. Un animale incastonato in una pietra preziosa. Ma cos’è? Quella coda, ma certo. Uno scorpione! Come ho potuto anche solo pensarci. El loco Higuita, fondatore della mossa dello “scorpione”. Una creazione artistica, un movimento impensabile in qualsiasi rettangolo di gioco.

Il fatale dribbling di Higuita a Milla..
Arriva un sesto dottore, dimesso, con gli occhialini appoggiati sul petto. Osserva, ride, prende appunti. Ho capito, bentornato “dottor” Bielsa, è da un po’ che non ci si vede. L’allenatore cammuffato d’un tratto inizia ad inveire sul portiere, non curante della situazione in cui si è catapultato. “Ma come si fa? Te non sei un portiere, sei solo un giocoliere! Ricordo come se fosse ieri la cazzata fatta contro il Camerun, nei mondiali d’Italia. Ti avrei mangiato la testa se fossi stato il tuo allenatore. Un dribbling a centrocampo, con Roger Milla davanti a te? Sei pazzo caro mio, sei veramente pazzo.”.

..e la seguente rincorsa senza esiti
Gli occhi di Higuita non s’incontrano mai con quelli di Bielsa. Fieri, orgogliosi, guardano la porta spalancata della stanza numero 3. Ripensa, probabilmente, ai veri errori di una vita “colombiana” in tutto e per tutto: i  7 mesi scontati in carcere per aver svolto un ruolo poco chiaro nelle dinamiche di un rapimento, le amicizie nella malavita, la squalifica per uso di cocaina nel 2004.

Bielsa viene verso di me, ha un disperato bisogno d’essere ascoltato, esce di testa dinanzi alla sola idea che qualcuno non dia la giusta attenzione ad un suo rimprovero. “Italiano! Lo vede questo? È la rovina del calcio, della tattica!”. Annuisco, imbarazzato, passo in rassegna gli sguardi increduli, persi nel vuoto dei vari dottori. Improvvisamente, d’impeto, ecco il mister argentino scagliare veementemente il blocchetto degli appunti, mirando al folto baffo e alle labbra carnose.

Impercettibile volontà del fato.

Un altro perfetto "scorpione" del portiere colombiano
Le manette restano basse, unite con i guantoni a fissare un punto preciso del suolo. La testa le segue, per un istante. Il tempo d’inarcare la schiena e di lasciare il libero colpo di frusta alle gambe piegate a mezz’aria. Eccolo, lo scorpione. Una smorfia, misto tra gioia e fatica. Ogni singola parola scritta da Bielsa viene rispedita davanti agli occhi dell’allenatore, violentemente, precisamente. Colpito in piena fronte. “Non ci credo, non ci credo, devo tornare a prendere appunti, tutto questo non può essere vero.”.

Ride René, totalmente compiaciuto del suo genio. “Toglietemi le manette, giuro che entro con calma nella stanza.”. Voce profonda, convincente, impossibile da smentire. Il dottor Escobar, come ipnotizzato, inserisce le chiavi e libera i guantoni. “Ehi, fenomeno!”, si appella così ad un dolorante Bielsa il numero 1 colombiano. Stizzita arriva l’occhiataccia dell’allenatore, ma ecco Higuita spalancare le braccia, come quella sera di settembre nel 1995. Il primo scorpione, davanti ad un tempio completamente incantato. Wembley meravigliato dalla prodezza di un folle.
Il folle René nei panni d'uno sceicco

Dopo un iniziale scatto di paura i medici restano incantati da quella figura, proprio come me. Il carisma, la personalità. Le braccia spalancate, pronte al volo, al balzo verso l’ennesimo intervento per i fotografi. Le braccia spalancate, a ricordare, indelebilmente, il più potente airone colombiano.

Higuita varca la soglia della stanza numero 3. È tutto finito. Anzi, è tutto pronto per un nuovo inizio. Gli schiamazzi sono ora rimpiazzati dal continuo vociare televisivo. Non capisco. Chissà cosa mi attende dietro l’angolo. Il tempo per voltarmi e per dare un ultimo sguardo a quella cascata di baffi, capelli e pazzia.

“Tunf”. Ho calciato qualcosa, mi chino. Un piccolo sacchetto, contiene della polvere bianca. René, René…

Higuita dietro le sbarre nel '93


  

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