venerdì 3 maggio 2013

"LOCO", STANZA NUMERO 2. JUAN MANUEL VARGAS

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Una manciata di metri, milioni di pensieri. Da pochi istanti ho salutato il primo paziente, Sebastian Abreu. Osservo le piastrelle ai miei piedi. Ho perso ogni sicurezza. Eppure il mio viaggio in Bolivia doveva essere solo una semplice curiosità da soddisfare, niente più. Penso, rifletto ancora perso in quella miriade di particolari, affascinato da quella figura, da quel suo sorriso.

Caricatura del "Loco" Vargas
Attenzione a non sbattere” mi ammonisce Escobar. Ritorno in me, a due doppi passi di distanza intravedo la seconda porta, il secondo specchio vitale. Il muro è irregolare, non capisco il perché. Traspaiono delle crepe, la candida prigione è come scalfita in più parti dall’interno. Delle grandi stalattiti orizzontali di cemento fremono, si aggrappano al vuoto. “Tum”. La parete trema, un’altra crepa s’inarca, il corridoio ammortizza il tonfo, lo rende cupo. L'ennesima escrescenza spunta dal nulla, alla mia sinistra. “Qui deve stare attento italiano, il secondo paziente ha un bel caratterino, è Loco come pochi altri.”.


Altra cartella medica, poche righe anche qui. Bastano ed avanzano, lo conosco benissimo. Non scorro oltre il nome. “Juan Manuel Vargas? Ma lo sa dottore che gioca in Italia? Io mi sono innamorato di lui dai tempi di Catania, esterno sinistro incredibile. Ogni volta che lo vedo calciare mi si fermano il cuore e la mente, divento un bambino ai piedi di uno scaffale pieno di giocattoli.”. Già, quante emozioni alle spalle, quante volte quel mancino ha scalfito le leggi della fisica lungo le fasce nostrane. Lo Monaco lo andò a pescare tra i santafesini. 

Ricordo come se fosse ieri la mia febbrile attesa per lo sbarco in terra sicula di quel terzino tutto da scoprire.
Ricerche su ricerche, pareva segnasse solo gol belli, si vociferava avesse fatto innamorare i tifosi del Colon. 

In maglia catanese
La sua iniziale panchina fu tanto scontata quanto la mia offerta fantacalcistica per quel corrucciato peruviano. Fisico possente, petto e posteriore agli estremi, esposti, prorompenti, pronti a bilanciare l’orgoglio e la corsa. Poi, il sinistro. Mi sembra ieri: uno, due, tre cross per  Spinesi; Gionatha improvvisamente baciato dalla fortuna, quasi sorpreso da quei dorati palloni giunti dalla cordigliera più famosa del Sudamerica.

Papà, ma come cazzo fanno a preferirgli Falsini??”, beata ingenuità di un amante della pelota.

Qualche gara ed ecco la fiducia, sempre più, e con essa i minuti. Fin da subito, quella pedina misteriosa, dava l’impressione di non essere la classica pesca priva di senno in suolo sconosciuto. Il passo, l’eleganza, l’energia…pura fascinazione, crescente quanto la sicumera di quell’incursore rossoblu dalla fascetta in testa e dal colorito scuro. Con Zenga infine, il compimento dell’implicita predizione. Vargas avanzato a centrocampo, linea di fuoco a pochi passi, mancino sempre più rovente, scoppiettante.

Tum”. La fine dei miei ricordi, delle mie divagazioni. Altra crepa. Escobar mi segnala di stare lontano dalla porta, ridacchiando aggiunge “Non vorrà rifarsi i connotati vero? Qui siamo un centro psichiatrico, non in un ospedale!”. Accetto, rassegnato, la battuta. Simpatico questo dottore, mi sta già dando sui nervi dopo una stanza.

Copertina di "Somos", il tatuaggio visibile appena sopra la cintura
Bisbiglio comunque, qualche formula banale per mettermi il cuore in pace e far sentire importante il buon Escobar, poi concentro la vista. Eccolo, El Loquito è diventato grande, lo si nota subito. Il viso è segnato dai suoi 29 anni, è più squadrato, più aguzzo. A fargli compagnia i tatuaggi. Molti, moltissimi su tutto il corpo. Se ne distingue uno, fisso lì, al centro del suo mondo privato, appena sotto l’ombelico: “LOCO”. In corsivo, imprescindibile segnale di un uomo che ha avuto tanti, tantissimi alti, ma allo stesso tempo un’infinità di bassi. Come il miglior trapezista, come il più grande artista.  Il resto è coperto da un tessuto bianco. La parte superiore del corpo è immobilizzata da una camicia di forza. Ogni movimento di Vargas è atto allo sfilamento di quella costrizione.

Incarnazione d’irregolarità, d’intrinseca irrequietezza.

Si sistema il capello, movimento repentino del collo, mani inutilizzabili; barba e baffi come sempre presenti, simboli di provenienza, incolti ed ispidi quanto la sua Lima. China il corpo, racchiude se stesso per un istante. Poi, come una molla, fa esplodere il petto e, con esso, il terrificante mancino.

Champions League con la Fiorentina
Tum”, la caccia è aperta, il muro inerme è scalfito ancora. Sta calciando un pallone, mi concede uno sguardo veemente, rapido. Non gl’interesso. Sta sfogando la sua rabbia, quel bagaglio d’odio interiore, sconosciuto a tutti, che pare accompagnarlo da sempre. Pedate, parole grosse, gomiti alti, pugni e risse. Risultato comune, una marea di cartellini rossi. Già, perché Juan Manuel Vargas è anche questo, l’altra faccia della medaglia del suo infinito talento è costituita da un cervello con ben poco ossigeno. Se ne sono accorti bene a Firenze ed, ora, a Genova.

Prandelli e Gilardino concordano nel definirlo il miglior crossatore che abbiano mai avuto al loro fianco. Parabole mistiche giunte costantemente da quella fascia sinistra. Visioni boreali negli stadi italiani. I signori Della Valle diranno invece che i 12 milioni di euro spesi per portarlo al Franchi, forse, sono stati un po’ troppi.

Mente c’è, mente non c’è. Filo rosso della vita di questo pazzo dal piede fatato.

Mi soffermo anche qui sui particolari. Sono presenti due poster nella nuda parete deturpata, poi nient’altro. 

L'avvenente coniglietta peruviana
Canalizzo l’attenzione sul primo. È un calendario targato Playboy. È fermo a Marzo, ma poco conta, gli occhi vengono attratti da una dea dai capelli castani. Mi volto, aspettando che il dottor Escobar torni utile, per una volta. Sta scrivendo un messaggio al cellulare. Ma andiamo. Piccolo colpo di tosse ed eccolo tornare nel mondo reale. “Mi scusi dottore, ma il poster di Playboy?”. “Aaah, sapesse caro italiano! Il paziente è letteralmente impazzito per quella ragazza. Tilsa Lozano. Non ha capito più niente davanti a quelle gambe il buon Vargas. Peccato che per lei abbia rovinato un’intera famiglia, così, in un amen. Moglie e figli salutati per questa coniglietta. Pare si sia giustificato definendosi ‘un essere umano’. E come dargli torto, guardi che corpicino!”. Arriva la classica gomitata da maniaco sessuale represso, la sento incrociare il mio sterno.

Vero e proprio fenomeno mediatico in patria, vero e proprio fenomeno con la banda rossa diagonale sul petto. Secondo poster, seconda immagine. La formazione peruviana arrivata terza nell’ultima Copa America. Che squadra: Cruzado, Vargas, Farfan, Guerrero, Zambrano…un calcio spinto, ispirato dalle antiche musiche andine. La finale sfiorata, agguantata da un grandissimo Uruguay e da un infermabile Suarez. Firma di Vargas che non si è fatta attendere nemmeno in quella circostanza, al termine di una competizione giocata sulla soglia della perfezione. Mente c’è, mente non c’è. Gomito altissimo, alla ricerca del volto di Coates, con l’intenzione di sfigurarlo. “Peccato, avrei potuto prenderlo meglio, mi dispiace.”. Queste le parole del capitano e numero 6 blanquirrojo.

Mi sento a disagio. Non si tratta più di una lucida follia, dell’estremo amore. La stanza numero 2 mi riserva una strana tristezza latente, nervosismo imprigionato; pagine di una storia incompiuta, o meglio, di una storia talmente tante volte ripetuta da non potersi riservare un lieto fine. Me ne vado, distolgo la vista da quella scena singhiozzante. Lo stesso gesto ripetuto ancora, e ancora, e ancora. “Tum”. Routine dell’inaccettabile, del non comprensibile. Amarissimo contraltare a quella stanza numero 1(3) che l’aveva preceduta.
Il cartellino rosso per la gomitata a Coates

Ripenso alla parabola di uno dei giocatori che più mi hanno preso per mano. Un termine, il primo che lessi per definirlo. Un'espressione che lascia il segno. I periodisti argentini lo chiamavano “volante”. Strano gioco di parole, involontari accostamenti di una lingua ammaliante. 

La stanza numero 2 è già alle mie spalle, Escobar sta ancora dando importanza a quel dannato cellulare. “Tum”. Il “volante” calcia ancora una volta; si muove il sinistro logoro, il sinistro ripetitivo, il sinistro fantastico.

“Volante” lui, volante quello che stringe tra le mani: quello della sua vita che molto, troppo spesso, ha girato frettolosamente, bisticciando con un autista al suo fianco, con un passante sul ciglio della strada, con la moglie seduta sul sedile del passeggero. Lo stesso volante che potrebbe portarlo ad uno schianto fatale. Quel volante che io spero lo possa ricondurre sulla strada principale, popolata da fenomeni e leggende.

Tum”. . A presto “Loco” peruviano, spero di vederti domenica cavalcare il grifo in quel di Marassi, a presto Juan Manuel, la stanza numero 3 mi aspetta così come la tua redenzione. 

                                        ecco il video di uno strepitoso gol in maglia Colon
                                          
                                        
ed uno spaccato della follia del "Loco" fornitoci dalla tv peruviana


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