giovedì 19 settembre 2013

FRATELLI DI HAGEN. GAMBINO, FEDERICO E MANNO.



di Gianmarco Pacione


“Giovà, ma come cazzo fai ad avere sempre una briscola in mano?”. La pizzeria Calabria è quasi vuota, fine serata. Pizzaioli e cuochi gustano i rimasugli nel tavolo all’angolo. Tricolori ovunque, psichedelica coreografia. 
Cadenze sicule, campane, italianismi misti, rinfrescati da pinte di Weizen.

Gennaro, il cameriere (la targhetta sul petto lascia pochi dubbi), liscia ancora una volta i capelli ingellati, viene anticipato costantemente dal naso statuario, solitaria vetta cresciuta all’ombra di sopracciglia tropicali. 

“Avete finito ragà? Qui si chiude.”. “Aspitt’ Gennà,  ultima partita.”.

Il pendolo bussa, l’una di notte. A tendergli la mano il calendario, 4 Gennaio 2003.

Una piccola televisione, appena sopra il bancone, scaglia notizie in una lingua cruda. All’improvviso il flusso di carte si ferma, pizzaioli e cuochi voltano la testa. “Oh! Oh! Parlano di voi.”. Il re di bastoni domina il tavolo. I tre ragazzi al suo fianco espirano nuvole di fumo.

Luci soffocate, ventole stanche.  

I tre calcetori di Hagen”, bofonchia un acneico Criscitiello germanico.

Salvatore Gambino esulta ai piedi della muraglia gialla di Dortmund
All’esterno delle pallide vetrine scorrono, come sette bello e primiere tra mani sicure, anonime utilitarie targate HA. La Lindenbergstraße è una strada come tante, come tutte le altre in questa scolorita città della Vestfalia.

“Juca!”. Il servizio si esaurisce, lo stacco sulla coscia modesta di Ina è interessante.

Il re di bastoni abbandona il trono. Salvatore, Giovanni e Gaetano si alzano ordinatamente dopo aver segnato i risultati su un foglietto. Raccolgono i tre borsoni alle loro spalle. 20 euro a testa di pizza e luppolo. Salutano con un cenno e spariscono nella foschia.

Gennaro li osserva. Sono italiani, come lui, come gli stendardi alle sue spalle. Italiani in terra straniera, sperduti nell’aspro e stantio nord tedesco, baluardi e figli d’una tradizione frammentaria, imprescindibile.

Federico in azione con il Viktoria
Orgoglio.  Ce l’hanno fatta, usciti da quel quartiere profumato, impregnato di basilico e sagne e ceci.

Sasà Gambino avanza in balia del pesante borsone. È un giocoliere tra le vespe, a Dortmund sta dipingendo novità tra incontenibili galoppate e palle visionarie. Pulce tra barbari giganti, eclettico dai lineamenti catanesi.

Giovanni Federico, anche lui poco più che ventenne, mangia campi nelle leghe minori, li divora. Nel Viktoria Colonia brinda alla sua razza rara, domenica dopo domenica, rete dopo rete. Sta camminando poco più dietro rispetto a Salvatore. Lo eclissa. Sembra un padre adottivo, guardia del corpo d’idee meravigliose, di piedi dorati.

 Alle loro spalle si allaccia le scarpe ‘Tano Manno. Coetaneo, sbadato. Talento paradossale, di quelli che affascinano. Gennaro l'ha già capito dal cerchietto sistemato laboriosamente ogni sera in quel tavolo centrale: non dominerà mai se non nei sotterranei tedeschi, colmi di pietre preziose ma introvabili, come lui.  
Manno in viola, sponda Osnabrück


Fratellanza. Il cameriere scatta, vola assieme alla cravatta d’aquile rosanero che tiene stretta al collo, il più dolce dei cappi. Apre la porta, la sradica facendo danzare tutta la giallognola vetrata.

“Oh! –i tre si girano- Certo che siete proprio tre bei minchioni in televisione!”.

Risata collettiva, mani che si salutano al ritmo di passaggi a livello.

"Ma'affanculo Gennà!".

Umile, ironica, potente italianità.

La stessa che terrà alta la testa a Sasà quando dovrà affrontere infortuni tremendi. La stessa che lo farà sorridere emozionato, dopo anni di calvario, davanti alle telecamere di Telesud 3, durante la presentazione in maglia trapanese. Lega pro, seconda divisione. Gennaio 2010. Quattro anni dopo l’addio al Signal Iduna Park.

Gambino a Trapani
La stessa che accompagnerà Giovanni nella sua lenta e famelica scalata. La stessa che gli farà vincere campionato e classifica marcatori della Zweite Bundes in maglia Karlsruhe e che poi gli farà indossare l'identico, nobile e mitologico, giallo del suo amico Sasà.

La stessa che strimpellerà insieme a Gaetano in campi malconci, ma mai riluttanti alla sua sconfinata onnipotenza estetica. Tra i viola di Osnabrück e gl’indagati blu di Paderborn. Tra una punizione a giro ed un tacco di troppo.

Ma ora Gennaro non sa tutto questo, il suo futuro è racchiuso nel prossimo vortice dell'apatica ventola. Si limita  a riaprire l’usurata porta chiudendola dietro sè. Non ha ancora abbandonato il sorriso di qualche istante prima. Cuochi e pizzaioli hanno già sparecchiato, sono tutti seduti al tavolo centrale. 

“Se ne sono andati, finalmente. Ancora un po’ e jucavano fino a domani. Ja, faccio io le carte, e chi perde si deve mette' la maglia della Germania!”. 











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