lunedì 30 settembre 2013

PALLONE E AVANGUARDIA OPERAIA: IL CALCIO IMPEGNATO DI SOLLIER

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)



Emblema un po' per sfida e un po' per convinzione. Di certo nulla di costruito, nella vita piena e impetuosa di Paolo Sollier. Un nome come tanti per molti, un simbolo per altri. Paolo Sollier è stato un operaio e un militante che prendeva a calci un pallone: soggetto atipico ed anomalo anche negli anni 70 (figuriamoci al giorno d'oggi), fu uno dei primi e più vivaci uomini d'avanguardia che alternarono le corse sui prati verdi o giallognoli di serie A (poca) e serie B (tanta) alla lotta politica nella sua veste più completa: simbolica nella sua forma esteriore, tormentata nella sua parte interiore.

Sollier diventa famoso ancor prima dei vari Zampagna, Lucarelli, Luci, perché in campo saluta con il pugno chiuso (“Lo facevo ai tempi della serie C, quando sono arrivato a Perugia mi sono detto che non avrei dovuto smettere solo perché ero in serie A”) per legare con la propria gente, la gente che la pensava come lui, la gente che veniva dalla sua stessa vita operaia e combattiva (“anche se quel gesto per me era troppo rigido, io sono più per il confronto”). Sollier, prima di tutto, non rinnega il suo passato: cresciuto a Torino, diviene attivista di Mani Tese, organizzazione cattolica che opera nel sociale, si iscrive a Scienze Politiche ma lascia l'università l'anno dopo per lavorare a Mirafiori, storico stabilimento Fiat. Paolo poi scivola a sinistra e comincia  anche a giocare nella Cossatese, e da lì in avanti il calcio diventerà il suo lavoro.

Lasciata la fabbrica, Sollier continua la sua militanza palla al piede: taglio di capelli beat, una folta barba castana e quell'ideale forte e puro del gruppo che domina sulle individualità. Il collettivo prima di tutto: Sollier cerca di insegnarlo ai propri compagni (di squadra, più che di lotta) e alle parole preferisce i fatti: le velleità intellettuali lasciate da parte per le serate al cinema a farsi grasse risate per i film trash dell'epoca, perché tutto faceva squadra e la squadra era tutto, senza compromessi.

Sollier oggi: allenatore della
nazionale scrittori.


Fra i calci e le botte rimediate durante il gioco, Sollier si prende anche del “boia” dai tifosi laziali (“Sarà un piacere battere la squadra di Mussolini”), ma niente lo fa demordere: il silenzio, il lavoro e la convinzione sono i mezzi più giusti per reagire alle botte e ai pestoni della domenica e agli attacchi del resto della settimana. In campo come fuori, Paolo prosegue la sua lotta: nel 1976 scrive Calci, sputi e colpi di testa (Kaos edizioni), libro che lo rende celebre (e che gli procura un deferimento da parte della Federazione). Fra le pagine ruvide e schiette del suo testamento, Sollier racconta il calcio, il suo calcio, buttando sulla penna tutto il peso di un animo combattuto, narrando il gioco dalla parte di un brocco idealista (perché Sollier, sostanzialmente, è questo: uno con i piedi di legno) e anticipando come un profeta il problema del business sciacallo che già iniziava a corrompere il sistema. 





Anche oggi che Sollier ha sessantacinque anni il pensiero è ancora vivace e sebbene alcuni spigoli d'ideologia si siano smussati col tempo, grazie alla saggezza che il tempo procura, il suo passato non lo rinnega. Anzi. Si dice amareggiato perché il 68 pallonaro è stato solo un effimero fenomeno estetico: quel mondo era impermeabile alla società reale e i tanti privilegi di cui godevano i giocatori rendevano quasi impossibile la dialettica con i temi della contestazione. Ma la delusione che parte dal passato sembra crescere immensamente fino ad arrivare ad oggi: racconta che ciò succede fuori dal terreno di gioco lo disgusta, troppi interessi, troppe tv, troppi soldi.

A prescindere dal colore delle proprie idee, Sollier è stato uno di quelli che ha parlato. A testa alta, dribblando gli ostacoli che quel mondo poneva in essere ogni giorno: il portafoglio pieno per prendere a calci un pallone diventava un' arma a doppio taglio per chi, come Paolo, combatteva dalla parte di chi quel poco che aveva lo guadagnava in fabbrica. Eppure la coerenza del pensiero e la vita senza eccessi hanno avvicinato Sollier al mondo reale, quello della strada, della militanza, dell'appartenenza. Lontano da tutto e da tutti, Sollier ci ha visto lungo.  

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