sabato 9 novembre 2013

QUANDO IL PESO DIVENTA LEGGERO. ODE A SODINHA.

di Gianmarco Pacione (clicca qui per seguirci su Facebook)

"Un artista è attratto da certi tipi di forme senza saperne il motivo.
Fernando Botero.

Felipe Diogo Monteiro Sodinha

Le mattonelle sporche. Il terriccio di sempre, forato crudelmente da tacchetti appena docciati. La distinta svolazzante sul tavolo, baciata dal Borghetti del nostro dirigente appassionato di videopoker. Si è attardato per pisciare fischiettando. "Dai su, devi solo diventare un po' più leggero.".

Ricordo impresso, fisso.

Sodinha in azione con le rondinelle
La mia prima partita senza fuorigioco: sostituito poco dopo l'inizio della ripresa. "Mangia meno pasta!", l'urlo freddo servito con il tè bollente. Ossimoro da spogliatoio. Parole che scivolano aride nel flusso puro della memoria.

Un salto dimensionale: la rovina di un impero florido, costruito su tap-in a pochi centimetri dalla linea, su rientri difensivi mai accennati. Il braccio su, il fischietto rude, il mio sogno concluso. "Sei un bomber di razza", dicevano: si, di razza dalle ossa grosse. Quella corsa da "pinguino", usata solo per esultare mitragliando alla Van der Meyde genitori scettici, d'un tratto era diventata una costrizione, un freno, un infortunio privo di volto e causa: rientravo senza attenuanti nella categoria dei "ciccioni", lo facevo da plurimedagliato esperto in riso alla pilota e gite a fast food di qualsiasi tipo.


C'è chi, però, nel calcio d'oggi, il "ciccione" lo fa con il pennello in una gamba, chi guarda negli occhi e manda a fare in culo quel mio dirigente, chi lancia addosso a quell'allenatore ignorante la lava zuccherata dell'intervallo.

Sodinha durante una seduta d'allenamento
L'arcobaleno mancino di Felipe Monteiro Diogo, in arte Sodinha, non fa altro che sorprendere: lo fa dall'uscita del tunnel degli spogliatoi, lo fa durante le sedute d'allenamento, lo fa in giro per il bresciano ogni giorno.

"Ma che bolla ha questo!".

Impossibile aggiungere altro, impossibile richiudere le bocche spalancate di migliaia d'osservatori pagani, giunti al Rigamonti per veder un brasiliano sovrappeso predicare calcio.

Linee del corpo, della pelota, che tessono serenate di nicchia. Magliette impietose, che stringono un petto e un busto troppo estroversi. Sodinha canta, menestrello ingombrante dalla cadenza portoghese; strimpella su ogni calcio piazzato servendo note dalla ritmica perfetta, allieta orecchie con il solo tocco del pallone.

Impietoso primo piano
Sodinha è grasso, rifiuta torte per il compleanno.

Sodinha arriva da tre operazioni alle ginocchia.

Sodinha è decisivo e gioca titolare, nella serie cadetta, con 20 chili in più da portare a spasso su quel metro e 75.

Sodinha è arte in ogni scatto mancato, in ogni pallone non raggiunto, in ogni istante d'affanno.

Sodinha è il capo ultras in staccionata con tante pinte nello stomaco quante bestemmie nel coro a ripetere.

Sodinha è, a 25 anni, l'ex giocatore che viene pagato da sceicchi di paese per segnare due gol annuali e portare pubblico in giro per sperduti lochi di provincia.

Sodinha è l'impiegato che va ad imprecare il sabato pomeriggio in qualche campionato CSI.

Sodinha è me a 12, 13 anni.

Sodinha è banalmente unico, grossolanamente attraente, talentuosamente sovrappeso.

Come uscito da un tratto di Botero, come uno dei bambini tondeggianti sul prato verde, come l'affascinante donna immersa nella sua floridità. Sagoma sferica, talmente tonda dal fondersi e confondersi con la palla tra i piedi, rendendola sorella, guidandola per mano nelle sventagliate più astratte e perfette, nelle galoppate più appesantite ed efficaci.

Personaggio inimitabilmente quotidiano, personaggio di Botero.

Ode a Sodinha.    
"Children playing football", Fernando Botero


 


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