venerdì 15 febbraio 2013

PAUL GASCOIGNE: L'UOMO OLTRE LA LEGGENDA


“Ma l'avete visto Ince, con la testa fasciata? Sembrava una pinta di Guinness che correva per il campo!”- Paul Gascoigne.

Sembra impossibile, ma per molti sta quasi tutto qui. Basterebbe questa frase,  nient'altro. Il calcio, la birra, la dissacrante ed ironica condotta di vita. Il problema è che quel “quasi” conta più di tutto il resto. Perché raccontare Paul Gascoigne non può essere solo un semplice esercizio di goliardia, raccontare di Gazza è una responsabilità. Scrivere di Gazza è un peso, un macigno, un rischio. E' mettersi di fronte a un simbolo, a una leggenda e andare oltre l'involucro appariscente, scoprendo tutto ciò che c'è dietro.

L'esultanza di Gascoigne e compagni dopo il gol alla Scozia
nella partita inaugurale di Euro 96 (foto UEFA)

Paul Gascoigne nasce a Gateshead, appena fuori Newcastle, il 27 maggio 1967. Nasce, cresce, vive per il calcio. Il talento c'è, eccome, anche se Ipswich, Middlesbrough e Southampton lo scartano. Proprio il Newcastle United, allora, lo fa entrare nella sua Academy. Ha sedici anni. Esordisce a diciotto in prima squadra, ci rimane fino al 1988, poi Tottenham, il trasferimento italiano alla Lazio, in Scozia sponda protestante di Glasgow, Middlesbrough, Everton. Seguono tre brevi esperienze: al Burnley, in Cina e negli Stati Uniti. Esperienze che poco hanno a che vedere con il calcio, quello vero. Paul detto Gazza è un centrocampista offensivo con un buon fiuto per il goal, un fisico da toro, un virtuoso dribbling, la capacità di farsi amare e odiare in egual misura, essere idolo o nemico giurato. Niente mezze misure, mai. In Inghilterra Gascoigne diventa, nel suo periodo “d'oro”( tra fine anni 80 e la prima metà degli anni 90) un'istituzione. Colleziona decine di presenze con la nazionale inglese, segna, diverte. Raggiunge i punti più alti d'empatia con il popolo di Sua Maestà in due occasioni: dopo l'ammonizione in semifinale ai mondiali di Italia 90, quando scoppiò in lacrime in mondovisione perché quel cartellino gli sarebbe costato la finale nel caso in cui gli inglesi avessero battuto la Germania Ovest (non fu così) e nel 1996, durante gli Europei, quando segnò alla Scozia uno dei goal più belli della storia del calcio, seguito poi da una celebre e liberatoria esultanza.
Novembre 2012: in occasione di Lazio-Tottenham, Gascoigne
torna all'Olimpico in versione spettatore. Sarà accolto come
un idolo.

Dietro tutto questo, scavando oltre il mito, però, vi è l'uomo. E l'uomo Paul è un uomo complesso, fragile, tormentato. Una vita estrema la sua, senza mai prendere fiato, senza vivere mai nulla in modo normale. Già da bambino soffre di allucinazioni e crisi di panico e risente di alcuni avvenimenti personali legati, ad esempio, alla morte di un amico e di altre persone attorno alla sua famiglia. Poi, le dipendenze: Paul, con quelle, inizia presto. Inizia da giovane, con le sale giochi. Ci spende tutti i suoi soldi. Il calcio è un'opportunità per uscire dalla miseria, è la via che il destino gli ha dato per costruire il proprio futuro. Vuole tirare fuori la sua famiglia dai guai, sa di poterlo fare col suo talento. Sembra funzionare, ma è solo una bellissima e dolorosissima illusione. Un quadro di Monet su una parete che nasconde profonde crepe. Gazza vivrà la sua carriera in bilico, come un'equilibrista, camminando a fatica su una fune che, via via, andava facendosi sempre più sottile. Il peso del talento e del successo sulle spalle, le vertigini causate da un'esistenza burrascosa. Cadrà, da quella fune. Rovinosamente scivolerà più e più volte, riuscendo ogni volta a rialzarsi. Lentamente, con fatica. La dipendenza dall'alcool e farmaci , l'orrendo accanimento della stampa, i disturbi bipolari, la politicamente corretta indifferenza dei salotti buoni del calcio moderno. Gascoigne, con il passare del tempo, diventando inutile il suo talento, si accorgerà d'essere solo un uomo. Ed un uomo solo contro i suoi fantasmi. Gli anni duemila li vivrà dentro e fuori da cliniche e prigioni, una volta lasciato il calcio: ricoveri, fughe, possesso di droghe, overdose, povertà. Dichiarerà di non aver più nulla: dirà di aver sperperato tutti i soldi guadagnati con il calcio. Come se, appendendo le scarpe al chiodo, il flusso autodistruttivo di Paul fosse uscito del tutto, finalmente libero di imperversare sulla sua vita.
Oltre il goliardico mito di Gazza Gascoigne ci sono i traumi e le difficoltà dell'infanzia, l'incontrollabile spinta verso l'eccesso, il dramma vero. La sofferenza di chi non ha saputo reggere il peso della vita, l'irrazionale tendenza a soffrire, a distruggere. E poi c'è stato il talento: purissimo, cristallino, romantico. L'unico in grado di contrastare tutto il resto. Una storia, quella di Paul, come tante altre. Come quella di Best e Garrincha e di altri fenomeni maledetti che hanno contribuito, con le loro vite estreme, sregolate e funestate dal dolore, a mostrare il lato fin troppo umano del pallone. Sperando che stavolta l'epilogo sia diverso. Con tutto il cuore.

Come on you Gazza.  



Gian Maria Campedelli (Profilo Facebook)



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