martedì 23 aprile 2013

LUCI A SAN SIRO: LA NOTTE DI GIACOMO CIPRIANI


Quanto può valere una notte? Chissà quanti di noi si sono posti, una volta nella vita, un interrogativo simile. Giacomo Cipriani forse è uno che a questa domanda non troverà mai risposta. Il suo nome dice poco o niente a molti distratti spettatori di questo gioco. Eppure la sua parabola rappresenta il calcio nella sua più disarmante purezza: Dio per una notte, esule abbandonato al proprio destino per tutto il resto della carriera. Anni a venire bui, sfortunati, nessuna rendita per chi ha toccato la gloria troppo presto. Quanto può valere una notte? Giacomo Cipriani, anche se forse non saprebbe rispondere, probabilmente a riguardo potrebbe insegnarci molto. Perché lui, Dio di una città lo è stato proprio per una notte: intensa, viva, surreale, commovente.


Cipriani oggi, trentaduenne, al Benevento.
Per capire meglio di quale magia agrodolce stiamo parlando bisognerebbe scriverne un prequel. Non lo farò perché bastano poche frasi, in realtà, per andare in profondità a sufficienza e sistemare in maniera lucida e puntuale tutto ciò che fu contorno vivo e decisivo, quella notte, quella diabolica notte.


Andiamo a ritroso fino all'ottobre del 1999: Giacomo Cipriani esordisce con la maglia della sua città, la maglia rossoblù del Bologna con la quale è cresciuto, e si inventa un gol che strappa applausi a chi se ne sta sugli spalti e a chi guarda la partita dalle televisioni: è il momentaneo 2-1 sullo Zenit di San Pietroburgo (lontana parente della squadra che negli ultimi anni è tornata alla ribalta nel calcio europeo). La parità, nel finale, verrà riacciuffata dai russi: finirà 2-2. Il filo rosso che parte dal gol del baby Cipriani passa anche di qui, da una zona Cesarini come tante.

Cipriani, con il Bologna, collezionerà nella sua carriera
sessantasei presenze in campionato (segnando in totale nove reti)


E poi, purtroppo, arriva il 9 febbraio 2001. Niccolò Galli, figlio del celebre Giovanni e amico fraterno del giovane Giacomo, cade vittima di un incidente stradale di ritorno da un allenamento del Bologna. Il mondo del calcio china il capo e piange la vittima di un ingiusto destino: anche il dramma renderà quella del 17 febbraio dello stesso anno una serata speciale. Una serata indimenticabile, figlia di un copione tanto magistralmente crudele da sembrare perfetto per una storia, per un film, per un canto, tanto crudele da far venire la pelle d'oca ancora oggi, dodici anni dopo. Il filo rosso diventa ancor più rosso e continua a tendersi, passando sui cuori spezzati e sui magoni di un intero paese di madri e padri commossi.

Lo stesso filo, finalmente, giungerà ad annodarsi al suo capolinea poco più di una settimana dopo. Il Bologna gioca a San Siro contro il Milan. Giocare al Meazza non è mai come giocare una partita normale: lo sanno tutti, figurarsi i calciatori. Se sei giovane, poi, tutto diventa ancor più straordinario. Se cerchi di emergere, se cerchi di dimostrare che quella è la tua piazza e che puoi giocartela alla pari con tutti allora il confine fra anonimato e leggenda diventa di minuto in minuto sempre più sottile. Se hai appena perso il tuo amico, se l'hai perso in quel modo, se devi cacciare in fondo alla tua anima smarrimento e rabbia per riuscire a sopravvivere sull'erba verde e sacra e tanto sognata, se devi affrontare tutto questo San Siro può esserti fatale. Giacomo, però, quella notte la vivrà solleticando la barba del Diavolo e accarezzando i piedi di Dio.

Farne la cronaca sarebbe superfluo, deleterio. Ciò che serve sapere è che Cipriani segna due reti. Diventa il tenore della Scala del Calcio, scalda la voce, lui, giovane spaesato con il cuore spezzato, lui, giovane sbarbato che tutti avrebbero pensato solo come un impacciato invitato al ballo delle debuttanti. Sempre lui, invece, con la testa alta e il cuore grande di chi è giovane e umilmente sfrontato, prende per mano la sua dama rossoblù e la guida in un inarrestabile valzer d'emozioni: come un maestro, un navigato professionista, si carica sulle spalle i silenzi e le diffidenze di chi assiste e le tramuta in applausi e sentimenti di paura e stupore. Giacomo, il bravo ragazzo, si cuce addosso il ruolo di protagonista di una serata strana e folle fino in fondo. Perché proprio in fondo, poco prima che i riflettori si spengano, Sala acciuffa il 3-3 finale salvando i rossoneri da una sconfitta bruciante. Eccolo qui, il filo rosso: ancora una volta nei minuti finali, Cipriani viene riportato a terra dopo aver svolazzato libero e (quasi) felice sopra i nasi rivolti all'insù di chi vedeva in lui il futuro del calcio italiano. 



Un incredulo Cipriani nella magica notte di San Siro, dopo la
seconda rete (foto: RAI)
Come già è stato scritto, non sarà così. Giacomo non troverà mai la piazza giusta dove affermarsi e, complici molti infortuni, la sua carriera diverrà uno sfortunato peregrinare lungo tutto lo Stivale. “Non sono Van Basten”, aveva ammonito all'indomani dell'impresa del Meazza, rispondendo a tutti gli elogi di chi si era stropicciato gli occhi di fronte alle sue due prodezze. Aveva ragione, Giacomo, e a dodici anni di distanza le sue parole sembrano tanto più vere di quelle che farciscono le frasi di circostanza di chi oggi si presenta davanti ai microfoni di domenica in domenica. L'aveva detto. A voce bassa, gli occhi spenti di chi sa di aver fatto qualcosa di straordinario ma, allo stesso tempo, sa di non poterlo urlare al mondo per rispetto di chi, invece, da poco non c'era più. E, a partita conclusa, a voce bassa Cipriani dedica proprio al suo amico il primo gol (e il secondo ad un ragazzo della Primavera da poco entrato in coma): lo fa col tono sincero di chi ha perso qualcosa di grande. Di chi è sensibile alla vita, in tutte le sue dolorose forme. 

Eccola qui, la fugace ma splendida parabola di Giacomo Cipriani, l'acme raggiunto fra le mastodontiche mura di San Siro in una sera più speciale di tutte le altre. Il piede e la testa a firmare orgogliosi un racconto in cui calcio e amicizia, morte e vita, gioia e tristezza si intrecciano fino ad annodarsi, insieme, per divenire realtà unica, pulsante, emozionante. Ecco quanto può valere una notte: una vita intera o, almeno, tutta la luce di una giovane stella.  


Gian Maria Campedelli


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