mercoledì 26 dicembre 2012

COME UNA FENICE: L'INCOMPIUTO LEEDS UNITED


David O'Leary, allenatore dei Whites dal 1998 al 2002
Solitamente nel calcio siamo abituati a distinguere due categorie di squadre: le grandi, quelle che vincono, quelle che hanno sempre vinto, quelle dove hanno giocato e giocano i fuoriclasse e... tutte le altre. La categoria “tutte le altre” comprende davvero tutte le altre, dal medio professionismo al dilettantismo più aspro. Ci si potrebbe accontentare di dividere il gioco in due emisferi, ma si commetterebbe un grave errore: si perderebbe la magia. La magia sprigionata dalle imprese di quelle realtà che emergono, che non vincono mai ma divertono, la magia di club travagliati che si trascinano dietro per decenni debiti e fantasmi e scheletri nell'armadio e improvvisamente vedono la luce grazie alle giocate di qualche fuorilegge del prato verde o grazie al talento di nidiate di ragazzini terribili che prendono a pallate quelli che, alla fine, vincono sempre. Potrebbe essere la storia di centinaia di club ma, soprattutto, è la storia del Leeds United.
Ancor di più è la storia del Leeds United di inizio millennio. Chi ama il calcio d'oltremanica non ha mai dimenticato il club che ha saputo ribaltare lo status quo del calcio britannico irrompendo sulla scena continentale e mietendo dietro di sé vittime illustri. Ma non solo. Il Leeds United ha incantato, sorpreso, scosso il pubblico europeo come nessun altro outsider del campionato inglese ha più saputo fare negli anni a venire. Prima che Chelsea e Manchester City diventassero Chelsea e Manchester City, a contendersi la terra d'Albione c'erano Manchester United, Liverpool, Arsenal. Un triumvirato inossidabile.
 O' Leary e i suoi ragazzi insidieranno “il potere costituito” delle tre grandi d'Inghilterra: nel 1999/2000 arriveranno terzi, scalzando il Liverpool dal podio del campionato, gettando le basi per una delle più straordinarie stagioni della sua storia. In campionato non si ripeteranno, chiuderanno quarti, ma in Champions League sfioreranno la finale, uscendo contro il Valencia. La cronistoria degli eventi, però, non importa a nessuno: ciò che conta è comprendere il Leeds. Il Leeds come metafora di calcio romantico, ovviamente. Il Leeds come romanzo d'inquietudine, il Leeds come affanno, gloria, depressione, eccentricità. Il Leeds indebitato fino al collo, il Leeds come sogno mancato, il Leeds come il giocattolo nuovo e scintillante che si rompe sul più bello. Il Leeds delle teste calde. Il Leeds United che accarezza l'idea di dominare l'Europa e, quindi, anche la propria Patria.
L'undici titolare che perderà 3-0 a Valencia nella
semifinale di ritorno della Champions League 2000/2001
Ma questo Leeds rimarrà anche una meravigliosa opera incompiuta. A differenza di quello che negli anni settanta riuscì davvero a vincere, trionfare, fare razzia in Inghilterra e nel continente. Un quadro lasciato a metà, in soffitta, nella polvere. La favola dei Peacocks non è propriamente una favola. E' tutt'altro, in realtà. E' un “Davide e Golia” finito nel modo sbagliato. Sul campo ci sono giocatori controversi, artisti e fabbri virtuosi più che atleti, inglesi ma non solo, ragazzacci che con il pallone fra i piedi scrivono la storia. Nei palazzi della società, però, c'è un presidente che spende per rendere grande il suo United ma finisce per indebitarlo e mandarlo a fondo. Manie di grandezza, cattiva gestione delle risorse, incompetenza. Ritornello già sentito. Finisce che il Leeds United sprofonda, lentamente, nella melma delle categorie inferiori. Finisce che i Whites crollano nell'anonimato, salutano i Viduka, i Kewell, i Rio Ferdinand, gli Alan Smith, i Bakke, i Woodgate. Succede che, oltretutto, alcuni dei suoi gioielli finiscono nelle gaudenti mani delle solite tre : i soldi servono come l'ossigeno per salvare il salvabile, i talenti sono tanti, le richieste anche. Muto rimanga il cuore. Ma non funziona comunque. I Peacocks salutano la Premier League e l'Europa del calcio. Proprio come negli anni ottanta, dopo i meravigliosi e vincenti anni settanta. E' il destino di alcune di quelle squadre che non stanno fra le grandi ma che, al pari, sono tutto fuorché anonima presenza: ondeggiano fra la luce e l'oscurità, meravigliando le platee per poi cadere vittime della propria vanità. Il prezzo per lesa maestà al triangolo Manchester-Londra-Liverpool è l'inferno della retrocessione, dell'indifferenza, del silenzio. Ancora una volta. La cronistoria non cancellerà, però, ciò che il Leeds ha saputo essere. Come un'araba fenice che dalle proprie ceneri si rigenera, così lo United oggi tenta di risalire la china per riemergere, per respirare ancora l'aria dei grandi palcoscenici. Di nuovo, come sempre, guardando al passato con malinconia ed orgoglio. “Per aspera ad astra”, maledetto United. 

Gian Maria Campedelli

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