venerdì 21 dicembre 2012

GEORGIOS SAMARAS, L'EROE ELLENICO


Da tempi immemori la figura dell’eroe è un caposaldo dell’umanità. Una ricerca implicita all’interno d’ognuno di noi di quella perfezione che mai in realtà è stata e sarà raggiunta pienamente. Eppure l’eroe (ce lo insegna la letteratura) è imperfetto tanto quanto gli altri individui. Concetto ossimorico certo, ma che trova riscontro soprattutto in quella mitologia greca che, molto prima della coppia d’oro Moccia-Volo, ha fatto sognare migliaia di giovani (e non solo) assetati di quella conoscenza e di quel sapore letterario ben distanti dalla mera banalità. Leggende che si uniscono a fatti storici creando un connubio magico. Risulta inevitabile, quasi una banale conseguenza, che ancora oggi appaia incantato quel suolo ellenico, impresso nella nostra mente dalle descrizioni omeriche.
Ed è proprio da questo popolo d’antichissime tradizioni che nasce ventisette anni fa, a Candia, Georgios Samaras, colui che potremmo definire l’eroe del calcio moderno.
Un fisico statuario. Barba e capelli folti, foltissimi, quasi a risaltare la sua espressione, sempre uguale, sempre impassibile, sempre alla ricerca dell’istante giusto per avvicinarsi a quegli dei che indipendentemente dal suo volere gli sono vicini. Dei che gli hanno donato una classe smisurata, a tratti eccessiva.
Georgios sa di poter cambiare le sorti della partita in qualsiasi istante. Glielo si legge in quella corsa cadenzata e ritmicamente costante, che tanto rimanda a quel suono di tamburi anticipatore di epiche battaglie. È un deus ex machina.
Non ha un ruolo, risulterebbe insultante e limitante definirlo con un numero o con le classica parolina di rito. È un giocatore a se, ed è compiaciuto di risultare tale. Quasi a risaltare questa sua onnipotenza per larghi tratti delle partite fa giocare solo i suoi compagni, come a ricordare quell’Achille che, davanti alle mura di Troia, per lungo tempo si era deciso a perseguire la strada dell’inattività, ma che, una volta entrato in campo, spinto da una forza superiore, cambiò irrimediabilmente gli equilibri. Non tanto grazie alla forza con cui impugnò le armi o a quel corpo allenato alla perfezione, quanto ad un fattore incontrollabile, con cui da sempre risulta impossibile negoziare: il destino.
Eroico e romantico anche nelle scelte della sua carriera. Quasi alla disperata ricerca di sfuggire a quella gloria che sa, da sempre, essere inevitabile, prima si trasferisce in Frisia, casa Herenveen, dove veste e domina con la maglia dei petali rossi. Non contento scappa nella parte meno nobile di Manchester, dopo due stagioni a buon livello abbandona anche gli amanti del blue moon proprio all’arrivo di quegli sceicchi che avrebbero snaturato in un certo senso la sua aura d’incontaminato poeta dei prati verdi. Finisce a Glasgow, sponda cattolica bianco verde, qui cede al naturale svolgersi degli eventi. Viene amato come pochi altri dai sudditi del Celtic Park. Anche in nazionale predica il calcio di sempre con una facilità quasi irrisoria.
Eppure resta sempre un campione di nicchia, uno di quei giocatori che in molti non considerano e che altrettanti descrivono con il classico “si, è forte, ma…”.  I suoi haters lo dipingeranno come un giocatore a tratti insofferente, abulico, quasi fuori luogo e, se non in giornata, deleterio.
Ma d’altronde si sa, l’imperfezione altro non è se non una parte integrante del concetto d’eroe. Lo rende avvicinabile, possibile da emulare. In fondo ognuno di noi, anche inconsciamente,vorrebbe esser  Georgios Samaras.

Gianmarco Pacione

Nessun commento:

Posta un commento